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MEMORIE ALIESI IN PROSA_4
 
Et, inclinato capite, tradidit spiritum
Et, inclinato capite, tradidit spiritum


Quando l'orologio della Matrice avrebbe suonato l'ora nona la nonna materna, armata di sarmento contro i miscredenti, fermava bruscamente i nostri giuochi, che si svolgevano, senza posa, nel cortile Genco, e, archiannu, come Cristo nel tempio: Cuomu, cu' lu Signiruzzu muortu, vuliti, ancora, jucari?... Da quell'ora sino alla Resurrezione le campane sarebbero state messe a tacere da lu zì Minicu, e si sarebbero sentiti, nell'aria, soltanto lo strepitare di li truòcculi e il battere, lento e sordo, sulla pelle d'asino del tamburo, coperto dal drappo nero di lutto. Il cielo, compreso del doloroso mistero e per l'imminenza del plenilunio, appariva turbato e segnato da nuvole, che, coprendo e scoprendo il sole, provocavano reiterati ed effimeri eclissi, simulanti, alla paesana, il grandioso eclissi totale, ab hora sexta ad nonam, del 33 d. C..

Fermavamo i giuochi, lasciando il campo ai coinquilini del cortile, reduci dalla campagna, dov'erano andati a dari arienzia a l'armali, in tiempu pi' la pricissioni; lu zì Tanu, di la Urfa, con la sua salmeria, la za Pitridda, di Tirdinari, assittata supra la scecca, cu'na manu a la vardedda e l'autra a la riètina, col suo fascio d'erba, da cui sfilavamo un filo d'avena o di sulla, che portavamo in bocca per sentirne il sapore dolciastro.

Le bestie non digiunavano e anche noi, più volte, spezzavamo il digiuno, con un'anga di pane di Cena, dalla bianca marmorata, o con un consistente frammento di piecuru di zuccaru, misteriosamente incrinatosi, prima della Pasqua, o cu' un piezzu di pupu cu' l'uovu, rifilati dal vicino, nisciutu apuostulu, e, il dì prima, seduto sul banco per la Lavanda dei piedi.

In prossimità della Pasqua, Piero, Eugenio e Didaco, dopo aver fatto, qua e là, incetta di zucchero, si recavano dalla Cubaitara, che avèa casa e laboratorio vicino alla Matrice, perché convertisse la partita di dolci grani di cristallo in una strippata di picurieddi, che, poi, ci apparivano troppo pochi e minuti, alla consegna... C'è sfidu! si scusava la buona donna. La cara zia Mannina, poi, era, anche, brava a fare li picurieddi di pasta di mandorle, la cui preparazione durava più giorni, come la Creazione: schiacciava, sbollentava, mondava, macinava, impastava e, infine, plasmava, col bianco stampo di gesso.

Interrotti i giuochi e spezzato il digiuno, visitavamo il Santo Sepolcro, cunsatu nella cappella di lu Sagramientu, dall'aria grave e raccolta, discretamente illeggiadrita dalla messe di laurieddu, tenero e biondo, per carenza di fotosintesi clorofilliana, ma così ricco di significati.

Nel tardo pomeriggio, sfilava il corteo col Nazareno, supino, nell'urna di l'angiuliddi, portato a spalla, sulla vara, lungo la strada di la pricissioni, fina lu Cravaniu, presidiato da la za Billonia. Sul sagrato della chiesa di S. Giuseppe, attende, affranta, la Madre Addolorata, che a Lui si unisce. Precedono, confrati, con scapolare e torcia, chierichetti e prelati, cu' sulu rubbuni; seguono, musicanti, autorità e il gran popolo.

Il panegirista è già sul terrazzo, "come torre che non crolla per soffiar di venti", in quel crocevia di correnti d'aria ca è lu cravaniu, tantu ca l'antichi ci facìanu l'arii, appunto... Sotto la folla fa testuggine contro la Cifalutana. Lontano, l'ampio arco occidentale dell'orizzonte, che ha in Busambra il suo referente, dove la luce del giorno tarda a morire. Il dotto reverendo dà buona prova di commovente oratoria su tema obbligato, e di resistenza al freddo...Mancu chissu pì lu Signiruzzu?...


Didacus
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pubblicato nel Periodico parrocchiale di Alia "LA VOCE", nr. 1/97, pag.5




 
     
Edizione RodAlia - 21/02/2014
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