E' con immenso piacere che vi
parlerò di don Totò "lu viulinaru", un
soggetto così atipico che è impossibile inquadrare in una categoria ben
definita. Un uomo a metà tra il musicista e il cantore girovago, il
venditore ambulante e il sonatore d'occasione, una figura dai contorni
pressocché sfumati, ma forse è meglio dire più semplicemente che don
Totò era solo don Totò.
Aliese d'adozione, era
vissuto per molto tempo in un orfanotrofio
palermitano, poi si trasferì ad Alia dove sposò una fanciulla, figlia
del calzolaio mastro Michelino Dioguardi. Don Totò non viveva certo tra
le ricchezze, il suo unico patrimonio era il suo violino e la sua voce;
neanche sulla propria vista poteva contare; infatti, dicono fosse cieco.
Camminava dalla mattina
alla sera per il paese, "giru giru li 'mura",
le strade le conosceva benissimo, "l'avia 'n pratica", suonava, con il
talento dei "musicisti ad orecchio", quel meraviglioso strumento che è
il violino.
Suonava per le feste,
per i matrimoni, per carnevale, e per tutte le
occasioni nelle quali si ritenesse opportuna la sua presenza, ma la sua
specialità era suonare per le "novene" dei Santi. "Quannu. Cesari ittau
ddu gran bannu rigurusu, San Giuseppi si truvau 'nna la piazza
rispittusu...tirullilleru tirullillà - tirullillà" è la musica..-.Così
faceva una delle strofe della novena di "lu bamminu" che si cantava
durante il periodo natalizio, mentre per Santa Lucia intonava il canto:
"Oh Lucia che decoro sei del cielo e della terra".
Don Totò, su richiesta,
poteva suonare e cantare una novena per una
famiglia in particolare, così, per nove giorni, avrebbe suonato sempre
sotto la stessa porta e si sarebbe quindi guadagnato la sua lira o al
massimo le sue due lire. Altra fonte di guadagno era la vendita di
giornaletti e calendari di Santi.
Quando passava don Totò
"cu lu viulinu", la gente gli offriva da bere e
lui, a quanto pare, non disdegnava affatto, anzi si dice fosse sempre
un po' brillo, da qui il suo colorito paonazzo. Qualche buon "putiaro"
gli faceva anche la carità di un po' di formaggio a "cridenza", ma
formaggio buono, quello che don Totò chiamava "lu sfutti bicchieri"
perché era un cacio così piccante che dopo averlo mangiato non potevi
non bere un goccetto di buon vino.
Era bassino don Totò,
tarchiato, con una voce di "zuccheriana" memoria,
panciuto, usava un laccio come cintura per i pantaloni, la faccia tonda
e gli occhi non vedenti rivolti al cielo. Aveva dietro di se una
schiera di fanciulli che lo seguivano divertiti, in un tempo in cui un
povero vecchio con un violino poteva già essere uno spettacolo.
Ebbe tre o quattro
figli, che sfamò a via di stenti, era così povero
che usava "scippare li pila di la cura di na jmenta" e, legandoli ad
arte a mò di corda, li usava come arco per il violino - non potendo
permettersi di comprarne uno nuovo -. Gli capitò di tutto,
persino di suonare, lui cieco, ad un matrimonio di
ciechi, quello cioè di "lu zu'Tanu l 'uorvu cu la gnira Turidda l
'orva".
Dopo di lui nessuno
prese il suo posto, così le nuove generazioni - me
compresa - non potranno mai sapere cosa significasse vedere per le
strade un personaggio così particolare come don Totò "cu' lu viulinu":
un vero peccato!
Laura Seragusa ___________________________ pubblicato
nel Periodico "LA
VOCE" di Alia, nr.4/98, pag.4