"La gnira Maricchia" vendeva
carbone presso alcuni locali del principe - quegli stessi che poi
furono adibiti "a lu cinema", mentre "ntà la
vanedda sutta la Matrici era Luici Alberti" , marito della più famosa
"zà Sara" a vendere carbone e carbonella. Un sacco di carbone da 45
chili costava circa 30-40 lire, mentre uno di carbonella da 15 chili
veniva pagato 10 lire circa. La vendita del carbone, però,
era propria dei carbonai, per così dire, di "secondo
livello", quelli cioè. che, semplicemente, partivano dal
paese con i carretti e andavano nei boschi "a' la fossa di lu crauni" . Lì potevano comprare il carbone
già distribuito in sacchi da 100 chili, alla modica cifra di 50 lire
ognuno, per rivenderlo poi, quasi il doppio, in paese, dove magari si
aggiungeva anche qualche buona
manciata di terra - un po' di marrone, in fondo, non solo spezzava bene
con il nero del carbone ma ne rinforzava anche il peso...-. "A la fossa" si trovava il vero
"craunàru" , di "primo livello", quello, cioè, che era addetto proprio
alla preparazione del carbone - "fu zi' Ninu o lu zi' Tanu Zimbardu " ,
per esempio - . Il loro lavoro cominciava con la
ricerca della materia prima: la legna.
Molti carbonari andavano a "granza" un bosco molto grande in provincia
di Messina. Lì la guardia forestale dava loro il permesso di tagliare
alcuni alberi, indicando precisamente quali, e così il primo problema
era risolto. Gli alberi venivano ridotti in
tronchetti "zucchi" da 60 - 70 centimetri o anche da un metro; quindi
venivano accatastati l'uno perpendicolarmente all'altro, in modo da
formare alla fine una sorta di
piramide, che poteva raggiungere anche i due metri, detta "fossa". Alla base di questa si lasciava
una sorta di finestrella, creata da un tronchetto, che si poteva
togliere o inserire a seconda della necessità, e da qui si dava fuoco
con l'aiuto di un po' di "ramagghia".
A questo punto si "'ntuppava lu
purtùsu cu lu zuccu stissu ", si faceva la " 'ncritata" una colata.di
creta e rami che serviva "a nun fàrici pigghiari aria". Due erano,
infatti da evitare assolutamente: uno che la legna "sbampassi " e
diventasse subito cenere e l'altro che il fuoco si spegnesse. Per
questi motivi "a ggiru a ggiru" c'erano altri buchi dai quali si
controllava lo stato della legna e dai quali si poteva introdurre la
"ramagghia" per "arricivari" - non fare spegnere - il fuoco. Il carbone si creava grazie a
questo lento consumarsi in sé di fuoco e legna, un processo lungo e
delicato che poteva durare da una a due settimane - a seconda della
quantità della legna - e che doveva essere
sorvegliato notte e giorno. Al termine della cottura si
"sfossava", ovvero: si tirava giù il carbone a poco a poco, con l'aiuto
"di li rastredda", e lo si spianava
"a lu largu" per farlo raffreddare, bagnandolo di tanto in tanto con un
pò d'acqua. Appena pronto si metteva nei sacchi di "marvuni" - corda -
e quindi si poteva vendere. Dalla "scuzzulata" del carbone
si otteneva anche una "minuzzagghia" che veniva venduta come
carbonella. Questa, comunque. poteva essere preparata a parte: "u
craunaru" faceva una buca nella terra dove
metteva rami. rametti, "alastri e ruvetta" e quindi, dava fuoco. Sul
primo strato aggiungeva altri rametti che "mazziava" con l'aiuto di un
bastone in modo da farli "accupàri. stissi". A forza di "mazziare", la
carbonella già cotta finiva in profondità, mentre altra legna veniva
aggiunta finché la fossa non era piena. A
cottura ultimata "lu craunaru" tirava la carbonella dalla fossa, la
"vutava e sbutava e la sbrizziava" con l'acqua per farla raffreddare.
"Li craunàra", nel bosco. vivevano in una "pagghialora" e d'inverno si
riparavano "cu' na 'ncirata". Il loro mestiere era pieno di
sacrifici, ma potevano vantare di guadagnare più dei contadini. Tanto
per dissipare qualche dubbio malsano sappiate che questi "craunara" non
avevano niente a che vedere con gli omonimi "carbonai" dei nostri
"moti", né tanto meno con la nostra ricca e gustosa " pasta alla
carbonara", dato che la loro, di pasta, prevedeva solo aglio, olio e,
se c'era, "na saliatedda di formaggiu". Laura Seragusa
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pubblicato nel Periodico parrocchiale di Alia "LA
VOCE" nr.3/2000, pag.16