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Ambito di Ricerca:Aspetti sociali, in genere
   
MEMORIE ALIESI IN PROSA_24
 

Lu urdunaru e la sò riètina

Forse pochi di voi ricorderanno e molti altri forse non conosceranno affatto la figura di "lu urdinaru". Lu urdinaru era chiamato così proprio perchè il suo compito fondamentale era quello di ordinare, o meglio, coordinare le "riètine" dei muli che, in estate dovevano trasportare i prodotti della terra dagli appezzamenti dei ricchi possidenti - nobili o borghesi - ai magazzini degli stess; in inverno, invece, trasportavano le sementi.

I muli - che ovviamente non appartenevano agli "urdinara " ma ai loro padroni - procedevano in fila indiana legati uno dietro l'altro con una grossa corda, da qui il nome "riètina". Ogni "riètina" era composta da circa 9 muli di cui otto erano adibiti al trasporto dei frutti della terra - grano, orzo, fave, ecc..- , che venivano posti in grosse "visazze" e "visazzotte" e queste a loro volta, sulla schiena dei muli; il nono mulo, invece, detto "caporìetina", trasportava "lu urdinaru".

Il mestiere dell' "turdinaru" era molto duro: si soleva dire che "s 'avia 'a susiri di stidda in stidda", infatti si metteva in cammino appena "affacciava la puddara" - il piccolo carro - e si ritirava alla "stidda di l'Avi Maria". In verità non dormiva quasi mai . A sera, fatti rientrare i muli nella stalla, doveva pensare prima al loro pasto, poi al suo. Cominciava, quindi, a sistemare la paglia nelle mangiatoie e finalmente poteva assaporare il suo tanto atteso piatto di pasta, non senza un sorso di buon vino.

A questo punto, illuminato da una candela ad "arsolio" - petrolio - , e seduto sul suo morbido letto ..., che altro non era se non "la ghiuttena" - una panca fatta di pietra ricoperta di pelle di pecora -, prima di concedersi il meritato riposo, doveva riparare le "visazze" e le "visazzotte " che, essendo fatte di "lona" - canapa -, potevano anche strapparsi. Per fare questa rammendatura, utilizzava "a zzaccurafa" - un ago molto lungo e grosso - e lo spago.

Finalmente era l'ora del sonno, muli permettendo!
Infatti, quelle docili bestioline avevano la simpatica abitudine di cominciare a "trippare", a litigare e a scalciare, finchè "l' urdinaru" era costretto ad alzarsi per "arrifriscare" loro la paglia, cioè dare una mescolata alla paglia aggiungendone di nuova.

Una volta al mese, " l' urdinaru" aveva la "vicenna" , un giorno in cui gli era concesso di tornare a casa, anche per cambiare i propri, ormai, sudici abiti.

La sua retribuzione era "lu partutu" che consisteva in un tot di olio, frumento, pane, formaggio, vino e anche un pò di denaro.

"Li urdinara" più ambiziosi "armavano" i muli con "cianciani" , "lanigghi" e "fruntala ", ossia con campanelle. pon-pon di lana variopinta e con cordelle colorate che servivano per adornarne la fronte. Le spese per questi abbellimenti erano tutte a carico dell' "urdinaru " e qualora non le avesse sostenute sarebbe stato giudicato "udinaru tintu ".

La gente poteva percepire da lontano l'arrivo delle "riètine" a causa del rumore delle campanelle e poteva anche distinguere il suono di una "riètina" da quello di un' altra: lo squillante tintinnio delle "riètine" del Cavaliere Guccione - che ne possedeva otto o più - , era facilmente distinguibile da quello più pacato della "riètina" di donna Nina Guccione.
A questo punto avrete certo capito quanto fosse sacrificato il nostro urdinaru , era però rassegnato e la durezza del lavoro nell'atmosfera bucolica dei nostri monti, non poteva che trasformarsi in poesia:

"Guarda chi vita fa lu urdinaru,
'ca notti e jornu camina a lu scuru,
metti a pigghiari capizzi di li mura,
e la so vita è sempri china di dulura".

Laura Seragusa
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pubblicato nel Periodico parrocchiale
di Alia "LA VOCE" , nr.1/96, pag. 6

 
     
Edizione RodAlia - 22/02/2014
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