Ambito di Ricerca:L'aspetto del territorio e del centro abitato
MEMORIE ALIESI IN PROSA_29
"Cicco"
"Cicco era un essere, la cui
mente era rimasta,
come dire... confusa, sin da quando era piccolo: non connetteva,
insomma. Per cui le sue azioni, come il suo dire, erano sconnessi. Non
era però nocivo, anzi era un uomo pacifico, sebbene molto diffidente;
magro, rinsecchito, curvo, e quando camminava si dinoccolava, come se
il suo corpo stesse incerto, insicuro su quelle sue gambe ossute che
sembravano dei trampoli. Nessuno si curava di lui, la gente non lo
considerava: per essa era un numero, un «coso». Niente altro. Mai un
saluto, un sorriso di umana comprensione. E perchè poi? Egli non se ne
sarebbe neppure accorto. Del resto, ognuno aveva il suo bel daffare per
conciliare la propria vita col tempo che scorreva. Tutti vivevano
piegati su se stessi, senza altra ambizione che quella di rosicchiare
la dura porzione, spettante a ciascuno, della propria esistenza.
Cicco era una piega un po' più amara della loro vita, ma lo
consideravano forse un privilegiato perchè almeno non aveva coscienza
di quel suo stato: egli viveva senza sapere neppure che era nato, nè
aveva coscienza della morte. Così la felicità e l'infelicità nella sua
vita non erano problemi che avessero per lui alcuna consistenza. Del
resto, a pensarci bene, anche gli altri non si ponevano quel problema,
ma solo quello di vivere. In definitiva, l'uomo può solo sognare e
sperare!
Ma Cicco non aveva neppure sogni, nè speranze: era solo un essere
umano, nella misura che gli esseri umani lo considerassero parte di
essi.
Egli, sebbene avesse un fratello e altri parenti, viveva solo nella
casa paterna, situata in una strada che si affacciava proprio sul cozzo
del paese. Ho già detto che era diffidente. per cui non con sentiva a
nessuno di entrare nella sua dimora. Aveva le sue abitudini, il «suo»
modello di vita, diciamo quindi un «suo ordine» o forse forse viveva
secondo la legge dei rflessi condizionati, secondo le teorie di Pavlov.
Come ho detto, a nessuno era consentito di entrare nella sua casa,
tranne a una sua nipote, Bernardina, alla quale era demandato il
compito di accudirlo; sia pure fino a un certo punto. Sì perchè neppure
Bernardina era del tutto libera di circolare per la casa: egli la
seguiva passo passo, sospettoso, dubbioso e sempre con borbottìo. Cicco
al mattino, attendeva lì davanti alla porta di casa, la nipote che gli
portava la prima colazione; così faceva pure nelle ore del pranzo e
della cena; quest' ultima consumata. che ancora era giorno, perchè
Cicco, poi, andava a dormire.
Andava a letto presto, appena si spegneva l'ultimo tocco dell' Ave
Maria. La mattina si alzava prima che facesse alba: calcava sulla testa
un berretto di panno o di tela, formato rotondo, come abbiamo imparato
a vederne nei ritratti che -raffigurano Garibaldi: berretto tondo e
ricamato in testa e il poncho sopra la camicia rossa.
Cicco si affacciava davanti alla porta e sbirciava a destra e a manca,
dando la sensazione di volersi accertare che non ci fosse nessuno per
la strada; quindi, avvolto nello scialle, usciva di corsa, dirigendosi
fuori del paese, verso il Calvario in aperta campagna. Che cosa ci
andava a fare a quell' ora al Calvario? Era quella l'ora della
toilette: insomma Cicco andava a «li cumuna», luogo da lui detto per
regolare il suo intestino. Raramente Cicco girava per il paese: nei
mesi invernali viveva chiuso dentro la sua casa, d'estate, seduto
davanti alla porta, tenendo un bastone in mano, le gambe attorcigliate,
chiacchierando da solo.
Cosa si raccontasse era difficile capirlo, anche perchè le sue parole
erano intraducibili, inintellegibili: erano parole sconnesse, suoni
senza senso, un borbottìo, insomma. E poi, egli, appena qualcuno gli si
avvicinava cessava subito quella specie di soliloquio, sino a quando la
persona non si fosse ben bene allontanata.
La sera fatidica dell'illuminazione del paese, Cicco era irrequieto: si
affacciava continuamente davanti alla porta, borbottando e gesticolando
all'indirizzo di tutta quella gente che in cima alla strada si era
radunata in attesa dell' accensione della luce, di cui egli era
completamente ignaro.
Cicco non si dava pace, non riusciva a capire perchè i suoi vicini e
anche altra gente venuta da altre zone del paese se ne stessero
ammucchiati lì a guardare in aria e a chiacchierare come se
aspettassero la processione del venerdì santo, che lui era abituato a
vedere tutti gli anni quando il corteo sacro passava dalla sua strada,
per andare al Calvario.
Non era abituato dunque a vedere tanta gente accalcarsi tutta insieme
sulla sua strada e, soprattutto, lo irritava tutto quel
chiacchiericcio. Tanto che spesso si portava le mani agli orecchi e
scuoteva la testa, come se volesse difendersi dal confuso vocìo della
gente. Ancor più era irritato perchè era quasi l'Ave Maria, l'ora in
cui egli soleva andare a letto. Si affacciava, guardava, borbottava e
poi. rientrava in casa; ma rimaneva pochi istanti e subito ritornava ad
affacciarsi sulla porta, ancora a guardare, a gesticolare e a
borbottare.
Era, appunto, affacciato alla mezza-porta quando la lampada che avevano
installato proprio alla «cantunera», distante pochi metri dalla sua
casa, si accese improvvisamente, imprevedibilmente. Cicco fu come
accecato dalla luce: si ritrasse sorpreso e impaurito, ma tornò subito
timidamente a riguardarla. Restò come rapito a fissare quella luce che
egli non aveva mai visto; il suo viso si fece tirato,spaventato. Chissà
che effetto deve avergli fatto. Non sappiamo il trauma che deve avere
subito Cicco udendo quel fragore di battimani scatenato dalla gente.
Egli rimase a guardare ora la luce, ora la gente, con gli occhi
sbarrati, fisso come fosse una statua. Poi, improvvisamente cadde di
colpo all'indietro e rimase immobile, disteso nell'ingresso, proprio a
ridosso della porta.
Nessuno di quella gente che stava seguendo l'avvenimento si accorse di
Cicco e di quanto gli era accaduto. Tutti continuarono a commentare
l'evento che stavano appena vivendo. Poi a poco a poco, ciascuno tornò
alla propria casa, ignaro della sorte toccata a Cicco, proprio a pochi
passi da loro.
Bernardina la mattina appresso quando, come di consueto, si recò dallo
zio per portargli la prima colazione, non scorgendolo davanti alla
porta, come al solito, ad attenderla, e osservando che la porta era
aperta, si meravigliò: la spinse cautamente e chiamò, ma non udì
risposta alcuna. Allora fece per entrare, ma sempre con una certa ansia
e preoccupazione, perchè era imprevedibile quell'uomo; e sebbene non
avesse mai fatto male a nessuno, la nipote era un po' paurosa a varcare
la soglia della casa.
Ma toccava a lei scoprire come mai lo zio non era stato ad aspettarla.
Lo chiamò ancora, poi timidamente avanzò di qualche passo e se lo trovò
davanti, steso sul pavimento, proprio dietro la porta, immobile con gli
occhi sbarrati. La povera giovane lanciò un urlo che dall'alto di quel
monte, nel silenzio che avvolgeva ancora il paese fu certamente udito
da tutti gli abitanti. Fuggì via presa dalla paura. L'urlo,
naturalmente fece affacciare i vicini che vedendo scappare la giovane
Bernardina, le corsero incontro tentando di fermarla, di calmare il suo
pianto, e tutti ad una sola voce a domandarle perchè urlasse e
piangesse.
Ma Bernardina era strozzata dai singulti, dal terrore e non riusciva ad
articolare parola. Riuscì solo ad alzare un braccio, indicando la casa
di Cicco. Alcuni rimasero a confortare Bernardina, a calmarla, altri
invece corsero verso la casa di Cicco per scoprire che cosa mai fosse
accaduto. Lo trovarono anche loro disteso per terra, stecchito con il
viso rivolto verso la strada, verso la cantunera dove c'era quel
braccio di ferro freddo, che appeso all'estremità reggeva quella
minuscola lampada, ormai spenta, come una cosa morta.
Sorpresi
e sconcertati, fu avanzato il sospetto che qualcuno avesse aggredito e
ucciso Cicco. Ma poi, perchè, si domandavano. Egli era innocuo, era
buono, non aveva un soldo, anzi non possedeva nulla che potesse fare
gola a qualche malintenzionato. No, convennero tutti: è morto di
crepacuore! Ma a nessuno venne in mente che la causa vera di quella
morte fosse stata quella minuscola lampadina accesa nell' ora in cui
Cicco solitamente già dormiva.
Cicco era morto perchè non aveva capito (e come poteva?) che era
arrivato anche per lui, per quel suo paese il progresso. Egli, dunque,
fu vittima della scienza, che non si creda sia solo sinonimo di
benessere... Come a Hiroshima migliaia di giapponesi, alcuni decenni
più tardi, rimarranno inceneriti per merito di un altro immenso passo
avanti della scienza: l'energia nucleare! Dalla quale gli uomini, con
quella finezza d'ingegno, con quella sadica raffinatezza che li ha
sempre distinti in tutte le epoche, avevano tradotto in ordigno
distruttivo, con il quale la civiltà umana poteva vantarsi di avere
raggiunto il punto più alto della sua capacità di sterminio della sua
stessa specie! Da quel giorno il genere umano ha vissuto, vive e vivrà
per i secoli a venire, ahimè, sul filo dell' equilibrio della
distruttiva energia nucleare. Un'energia offerta dalla natura per
rendere migliore la vita dell'uomo, tradotta, invece, in orrore.
In ogni epoca, allorquando l'uomo ha rivolto le sue forze creative a
danno suo, si è sempre giustificato dicendo: è il prezzo del progresso,
della «civiltà ». In nome di essa si crea e si distrugge; essa illumina
e acceca, sì che nell'uomo si genera confusione. Tutto della civiltà ,
nel bene e nel male lo smarrisce, lo rimpicciolisce alla stessa maniera
che lo ingigantisce, lo lancia in avanti e lo precipita indietro, nel
tempo della barbarie; sino a spezzare in lui l'equilibrio della
ragione, sino a non fargli più distinguere dove cominci la civiltà che
lo innalza e dove finisce l'inciviltà che lo subissa.
Se
poniamo a confronto le gigantesche proporzioni delle conquiste
scientifiche dell'uomo con quanto ne deriva dai suoi comportamenti
scellerati, si è assaliti dal dubbio che possa essere il medesimo uomo
o che non si annidi in lui il saggio e il pazzo. Sennò come può il
saggio essere distruttore delle sue saggezze? O altrimenti ci resta il
dubbio che nella sua coscienza conviva un medesimo contraddittorio
sentimento di odio-amore, cui non riesce a sottrarsi o non riesce a
farlo divenire solo amore. E questa contraddizione sopravvive
nonostante egli si professi credente, non importa di quale religione,
perchè qualunque e comunque essa sia, è sempre espressione d'amore.
Allora, non c'è dubbio: nell'uomo convivono il pazzo e il saggio."
Liborio Guccione
___________________________ pubblicato
in "Giorni vissuti come fossero anni"