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Ambito di Ricerca:Aspetti sociali, in genere
   
- ANNI '60 -
ALIESI, ALFIERI D' ITALIANITÀ IN GERMANIA
 




Certamente nessuno dei numerosi aliesi (per lo più giovani), che andarono per lavoro in Germania in quel periodo, sapeva dell’esistenza di un trattato internazionale che, a partire dal 1957, istituiva tra l’Italia e pochi altri Stati europei viciniori (6 in tutto) una cooperazione economica, basata soprattutto sullo sfruttamento di risorse naturali del sottosuolo, individuabile nella sigla CEE.

Gli studenti delle scuole superiori ne avevano sentito parlare a scuola, ma la novità anche per loro rimaneva libresca e di relativo interesse, vista la non implicazione diretta: quei Paesi stranieri, seppur vicini geograficamente, restavano sconosciuti e lontani nelle loro identità culturali.

Quando, attorno al 1958, un gruppo di essi, studenti del Liceo classico di  Termini Imerese , ebbe la fortunata occasione di permanere per alcuni giorni a Strasburgo, incantevole città dell’Alsazia a confine tra Francia e Germania, iniziò a muovere i primi passi un processo di conoscenza reciproca che ridimensionava luoghi comuni e apriva nuovi orizzonti culturali.

Chi tra loro non poté non meravigliarsi di fronte allo splendore architettonico della cattedrale gotica, dell’intreccio dei canali navigabili, delle facciate tipiche in legno e muratura di alcune case, del Parlamento europeo, della maestosa imponenza del fiume Reno, delle abitudini culinarie e della birra ? ; la birra, un vero vanto per i Franco-Tedeschi.

Agli inizi degli anni '60, freschi di diploma di maturità classica e già iscritti alla Facoltà di Scienze politiche dell'Università, ebbe inizio in Germania l'eccitante esperienza di lavoro e di studio linguistico di due amici e compagni di scuola.

Il mondo del lavoro tedesco, a quel tempo, viveva un periodo di grande espansione e perfino i lavoratori stranieri godevano già di una soddisfacente tutela, salariale e assistenziale. Era relativamente facile trovare lavoro anche senza alcuna qualifica.

Ai cantieri edilizi, ”Baustellen”, affluiva la maggior parte degli emigranti, non solo italiani. Per la prima volta, i nostri concittadini aliesi sentivano di essere Italiani. Come Italiener veniva identificato dai Tedeschi chiunque provenisse dalle più remote delle nostre province: moltissimi erano calabresi, pugliesi e siciliani. Per la prima volta, ciascuno di essi, suo malgrado, veniva investito dal grande onòre ed anche dall' ònere di rappresentare la propria Nazionalità.

Non fu un compito facile da testimoniare nelle apparenze e nelle abitudini, che riflettevano l'estrazione socio-culturale umile e modestissima di chi, costretto ad emigrare, fino ad allora, aveva lavorato la terra per conto proprio o degli altri oppure aveva fatto saltuariamente l'operaio generico.

Come Gästarbeiter (lavoratori ospiti) si trovava lavoro anche nelle fabbriche, metalmeccaniche, soprattutto. Phorzheim, nella regione del Baden-Wüttemberg, era denominata Golden Stadte per la grande intrapresa manifatturiera dell'oro, rappresentata da tante fabbriche a ciò destinate.

I due amici, tramite l'Ufficio del lavoro (Arbeitsamt), furono assunti in un batter d'occhio chi da un Cantiere edilizio e chi da una fabbrica, in cui si lavorava l'oro e la madreperla per farne monili e chincaglieria. Successivamente, entrabi furono assunti da altra ditta metalmeccanica che produceva frese per utensili.

Essi non usarono mai, il loro "peso culturale" come discriminante nei confronti dei compaesani meno fortunati, con i quali c'era una piena condivisione di umanità e di rispetto, ma di esso si servirono per osservare meglio il fenomeno immigratorio e per cercare di comprendere gli aspetti più salienti della cultura e civiltà tedesca, a tal punto che gli esiti di tale processo, dopo qualche anno, facessero avvertire un simpatico benessere di convivenza in terra straniera.

Quanti emigranti impararono in fretta un nuovo mestiere nell’ambito del lavoro che erano chiamati a svolgere, distinguendosi per dedizione e creatività. Quanto calore umano e simpatia condivisero tra loro stessi, nei modesti alloggi in legno, espressamente, predisposti e tra i Tedeschi nelle poche occasioni di incontro che c’erano.

Le relazioni sociali con gli ospitanti non furono inizialmente facili: comportamenti ed abitudini diversi non sempre trovarono un terreno comune di tolleranza e di accettazione reciproca. Si arrivò perfino all’eccesso, ai tempi in cui all’ingresso di qualche Gasthaus (trattoria-albergo) appariva la scritta “Italiener verboten” (vietato agli Italiani). Tuttavia, il tempo sanerà, a poco a poco, queste punte di razzismo. Si affermerà così un’ integrazione di multiculturalità promotrice di reciproco arricchimento civile ed umano.

Quanti emigranti, nella struggente nostalgia di casa, impararono ad apprezzare il lavoro domestico di genitori e mogli, costretti, come erano, a provvedere alla cura della persona e alla preparazione del vitto, sia in baracca che in appartamento. Quanti sacrifici e privazioni dovettero subire, comunque, tutti pur di raggiungere la meta di una vita più dignitosa: finalmente un lavoro diverso da quello talora massacrante o aleatorio, in ogni caso poco redditizio nell’artigianato o nell’agricoltura del paese d’origine.

In Germania, nasceva allora la rassicurazione di fare un lavoro, garantito da norme imprenditoriali e sindacali, pagato adeguatamente a fine settimana: la famosa busta con dentro soldi e cedolino. Un sogno negato in patria!

L’opportunità del lavoro e la crescita culturale di fatto, in ambienti che tale processo favorivano, non fecero mai dimenticare agli emigranti, in genere, e ai nostri concittadini aliesi, l’appartenenza alla terra d’origine. A tal punto da sentirsi investiti di fatto del ruolo di ambasciatori non solo della cultura del loro paese, ma addirittura di quella della loro Nazione, che sentivano di amare col cuore , ma anche di odiare con la ragione, non avendo essa saputo assicurare loro in patria un lavoro decoroso e redditizio.

I due amici, per tutto il periodo di permanenza in Germania, pur lavorando normalmente,   studiavano a distanza le materie del corso di laurea, e, tra di esse, in loco e con l'aiuto di una interprete, la lingua tedesca. Nell'arco di tempo ordinario previsto, venne il diploma di laurea e terminò così l'esperienza studio-lavoro, che dopo tanto tempo, ancora oggi, resta impressa nella mente e nel cuore come la più esaltante, forse a causa dell'allora età giovanile.

Di essa si ricordano, in particolare, la ricchezza umana e sociale acquisita e gli alti ideali culturali che tale esperienza avevano promossa, non ultimi quello dell'orgoglio identitario: sono un Italiano, e quello dell'incipiente, nuovo afflato verso l'Europa.


Romualdo G.


immagine allegata
ponte sul fiume Enz a Eutingen/Baden (vicino a Phorzheim)


immagine allegata
operai italiani in una fabbrica tedesca - 1965




 
     
Edizione RodAlia - 03/03/2014
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