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Ambito di Ricerca:Intercultura
   
NON SMETTE DI PIOVERE
Primo festival italo -marocchino, a Venezia (2011)
 
Non smette di piovere Mario Anton Orefice


immagine allegata

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di MARIO ANTON OREFICE

Una pioggia leggera e tenace bagna i masegni di Piazza San Marco in questo mercoledì giugno. La bandiera italiana e quella marocchina sventolano insieme per l'apertura del primo Festival italo-marocchino. Sotto i portici delle Procuratie un viavai di persone, l'impazienza prima che si apra il sipario, la speranza che smetta di piovere. I gruppi in costume accordano gli strumenti, accennano qualche motivo tradizionale. Abdallah e Antonio sono emozionati e corrono da una parte all'altra dispensando sorrisi, risposte, e gli ultimi suggerimenti. Anche loro guardano spesso il cielo. Una coppia strana, Abdallah Kherzraji, nato a Safi, mediatore culturale e presidente del circolo culturale Hilal in viale Monfenera a Treviso, e Antonio Calò, nato a Barletta, professore di storia e filosofia al Liceo classico Canova di Treviso.

In attesa che smetta di piovere si potrebbe cominciare proprio da loro due, come si sono conosciuti un immigrato e un professore? Certo le parole non aiutano, immigrato indica già  qualcuno che nella storia non si porta appresso una buona fama, l'immigrante, l'extra-comunitario, da sempre è stato ritratto come un poveraccio con le valigie di cartone o con i sacchetti di plastica. Sarebbe forse meglio usare per tutti la nazionalità , in questo caso un marocchino e un italiano, ma facendo così si perde una parte della storia. Forse è più interessante capire il perchè, un perchè che si riflette nelle loro biografie come i contorni delle nuvole sui masegni bagnati dalla pioggia. Abdallah è nato a Safi nel 1966, arriva in Italia all'inizio degli anni Novanta, il primo domicilio sono le tende che la Caritas ha allestito nel quartiere San Paolo.


Dopo un impiego come operaio in un'azienda tessile, comincia a interessarsi dei problemi degli immigrati, entra in contatto con varie associazioni e dimostra di essere un mediatore in gamba. L'interesse per l'altro è uno dei suoi chiodi fissi, come il desiderio di far conoscere la cultura del suo paese agli italiani che incontra lungo la sua strada. A metà degli anni Novanta fonda il circolo culturale Hilal (in arabo vuol dire mezzaluna) in Viale Monfenera che oggi conta 500 iscritti. Un angolo di Marocco lungo le mura di Treviso, qui è possibile sorseggiare un tè¨ alla menta, degustare il couscous e ascoltare la musica gnawa. E' vicepresidente della consulta regionale per l'immigrazione che rappresenta 530.000 migranti, è conosciuto a livello nazionale per i suoi interventi di mediazione.


Antonio Calò, invece è nato a Barletta il 7 novembre del 1961. Dopo aver conseguito due lauree, una in filosofia con la tesi Il progresso e la filosofia della storia in Condorcet, e una in teologia con la tesi Il significato e il problema della retribuzione in Giobbe,inizia la sua carriera di insegnate e nello stesso tempo coltivaun' intensa attività  culturale come direttore scientifico dell'associazione culturale Jacques Maritain e come consulente di progetti interculturali sulle radici comuni dei cittadini europei. A pensarci bene c'è una cosa che li collega fin dalla nascita, un mare che dovrebbe rendere paesani spagnoli e greci, marocchini e italiani, il Mediterraneo, il mare dell'Odissea o delle Odissee, con i suoi confini da raggiungere e superare, quel viaggio da compiere per tornare a casa. Forse è per questo che si sono incontrati una sera di aprile del 2010 al circolo Hilal. A presentarli Guido Gasparin, Presidente della cooperativa Solidarietà , una realtà  unica nel panorama italiano, un villaggio dove convivono famiglie normali,famiglie di immigrati (Abdallah vi abita con la sua famiglia dal 1990), una casa accoglienza, un ostello della gioventù, appartamenti per ragazze madri in difficoltà  e, tra un pò, anche un gruppo di anziani autosufficienti. Un villaggio di umanità  e fratellanza nel cuore di Treviso.

Davanti ad una tajine di mandorle e pollo, racconta Antonio Calò, ho incontrato una grande persona, un uomo orgoglioso ma anche umile e capace come pochi altri di tessere relazioni e di riunire attorno ad una tavola culture diverse. Mi espose la sua idea di festa italomarocchina e mi racconta la sua vita: all'inizio mille modi per sbarcare il lunario, poi il tempo dedicato ai connazionali, le relazioni con gli enti pubblici e gli organi di polizia, la creazione del circolo Hilal. Mi parlò del cous cous più grande del mondo, dell'incontro fra musica andalusa e musica marocchina, ma mi fece anche capire che aveva bisogno di un compagno di viaggio, di qualcuno con cui sviluppare e discutere il progetto. Gli dissi che l'idea mi piaceva ma che era essenziale coinvolgere le istituzioni ai più alti livelli perchè giocano un ruolo fondamentale nell'incontro fra popoli diversi.

Non ha smesso di piovere, aspettare ancora non ha senso. A nome del comune di Venezia prende la parola l'assessore alla cultura Roberto Panciera che comunica anche l'importante riconoscimento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al professor Calò: una medaglia di rappresentanza per l'organizzazione del primo festival italo marocchino. E' poi la volta dell'ambasciatore del Marocco Hassan Abouayoub che augura un continuo sviluppo dei rapporti tra i due paesi. La festa può cominciare. La musica del bendir e del rebab accompagnano un corteo matrimoniale, simbolo dell'incontro fra Italia e Marocco. Si procede in circolo fra gocce di pioggia e sorrisi, tanti sorrisi, la sposa indossa un prezioso abito bianco con i ricami dorati ed è portata a spalla su un lussuoso trono decorato, lo sposo la segue a piedi in una jellaba bianca.

Il corteo anima la piazza, come un camaleonte inaspettato si muove lungo i bordi pronto a ritirarsi con il crescere della pioggia. Viene da pensare a un quadro, al titolo di un quadro che non esiste: Danza della sposa in piazza San Marco. Viene da pensare anche a quanto sia stupido chi pensi di essere migliore dell'altro. Italia e Marocco sono paesi che hanno grandi questioni aperte. In Marocco Tahar Ben Jelloun scrive I problemi sono numerosi: primo fra tutti, il flagello della corruzione. L'accattonaggio è una piaga; il Ministero dello sviluppo sociale ha censito 200.000 mendicanti, 120.000 dei quali professionisti.

Ma la cosa ancora più grave è l'assenza di una cultura dell'uguaglianza, un anafalbetismo scandaloso (il tasso più alto nel mondo arabo), una crisi costante dell'educazione nazionale, un sistema della salute pubblica misero che offre grandi opportunità alle carissime cliniche private e una giustizia che, a causa della corruzione, non riscuote la fiducia dei più disagiati. L'Italia, dal canto suo, se dovesse dedicare un monumento alle vittime del terrorismo, delle stragi, dei delitti di mafia, avrebbe bisogno di un luogo simile al Vietnam Veterans Memorial di Washington: un muro con migliaia di nomi. E' una storia, quella della nostra democrazia, piena di punti interrogativi, di contatti con la mafia e di false verità  che fanno venire i brividi. Il suono ipnotico dei qraqb della musica gnawa risuona sotto le Procuratie, una folla italomarocchina forma un cerchio intorno ai musicisti, la festa continua così come la pioggia che non ha smesso per un attimo.




 
     
Edizione RodAlia - 21/11/2024
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