La conquista araba della Sicilia inizia
ufficialmente nell'anno 827.
Prima c'erano state numerose incursioni, fin dal lontano 652, e
reiterati tentativi di conquistare la Sicilia, tutte fallite. La
spedizione definitiva venne effettuata quando il ribelle bizantino
Eufemio, li chiamò in aiuto.
Alla guida della spedizione c'era un giurista settantenne, Asab ibn
al-Furàt. La spedizione araba lasciò il porto di Susa il 14 giugno
dell'anno 827 e dopo aver effettuato una sosta nell'isola dei conigli
(Lampedusa) per rifornirsi di viveri ed uomini, sbarcò a capo Granitola
presso Mazara tre giorni dopo, il 17 giugno. Le truppe di Asad, per la
difficoltà dei luoghi e per lo scarso nutrimento soffrirono quanto e
come gli assediati.
La loro fu una conquista dura, Palermo la ebbero nell'831, perché
stremata da una pestilenza, Messina nell'843, aiutati da truppe
napoletane, Enna , da loro chiamata Kasr Jànna (da cui
Castrogiovanni) fu presa nell'859, dopo un assedio tanto lungo che
consentì agli arabi di coniar moneta. Le ultime a cedere furono
Siracusa, nell'878, Catania, nel 900, Taormina nel 902 ed infine
completarono l'occupazione con la caduta di Rometta nel Messinese.
Correva l'anno 965.
In Sicilia non
ci fu un regno unitario arabo ma tante piccole signorie rette da
"Kadì". Il comportamento degli arabi fu improntato alla tolleranza. Non
perseguitarono i cristiani ma si accontentarono di far pagare loro una
tassa la "gézia" consentendo la libertà di culto. Pochi infatti furono
i tentativi di ribellione e vani furono i tentativi di riconquista da
parte di Bisanzio, ricordiamo solo quello di Giorgio Maniace (dal 1038
al 1042) perché fra le sue truppe militavano anche, in qualità di
mercenari, i Normanni che a breve, sarebbero riusciti a scalzare i
musulmani dall'isola ed ad affermarvi la loro signoria.
Gli Arabi divisero l'isola in tre grandi distretti amministrativi: la
Val di Mazara che comprendeva la parte centro-occidentale, la Val
Demone che comprendeva la parte settentrionale-orientale e la Val di
Noto, per la parte meridionale. Dapprima la Sicilia fu
sede di Emirato dipendente dalla dinastia tunisina degli Aghlabiti che
la governarono con i loro emissari, poi divenne indipendente con una
propria dinastia quella dei Fatimi. La popolazione era distinta in
indipendente, che conservava i vecchi ordinamenti, tributaria, che
pagava la gezia, vassalla o "dsimmi" che viveva soggetta ed infine i
servi della gleba o "memluk".
Durante i 200 anni della loro dominazione, gli Arabi portarono
nell'isola la cultura, la poesia, le arti, le scienze orientali e
abbellirono il loro regno con monumenti stupendi. Durante la loro
permanenza gli Arabi diedero un notevolissimo apporto all'economia ed
alla civiltà Siciliana: introdussero le colture del riso e degli
agrumi, realizzarono opere di canalizzazione che consentirono l'uso
razionale delle risorse idriche (cosa che oggi i nostri amministratori
hanno "dimenticato").
Ancora oggi nella nostra lingua usiamo termini come "gebbia", la vasca
di raccolta delle acque, "saja", i canali, "senia" ruota del mulino ad
acqua, ecc. Furono incrementate le piantagioni di gelsi con conseguente
impianto di manifatture per la seta. Svilupparono la piccola proprietà
terriera, eliminando i latifondi, con opportuni provvedimenti fiscali,
quale l'abolizione dell'imposta sugli animali da tiro.
Durante la dominazione araba Palermo (Balarm in arabo) si distingueva
per lusso e per ricchezza e si presentava con tutte le caratteristiche
di una città orientale. Divenne una capitale mediterranea Si contavano
più di 300 moschee (così riferisce nel 973 Ibn Hawqal, viaggiatore
arabo dell'epoca normanna ) ed una popolazione di oltre 250.000
abitanti, quando a Roma o Milano non c'erano più di 20 o 30.000 anime.
La Sicilia tutta
era piena di industrie e di commerci, come ci rendono conto i
viaggiatori Ibn Gubayr, Ben Idrisi e lo stesso Ibn Hawqal. Era il
giardino del mediterraneo. In Sicilia gli
arabi favorirono la nascita di una ricca cultura, sia nelle scienze che
nella letteratura.
Uno tra i migliori poeti arabi siciliani è Abu al-Hasan che visse in
Sicilia, tra la fine dell'XI e il XII secolo. Egli cantò l'amore e la
bellezza del creato come doni di Allah. Nei suoi versi si trova anche
una vena di tristezza per la sorte della sua patria, la Sicilia, che
stava per cadere nelle mani dei Normanni. Sarebbe bello poter leggere
"La storia araba di Sicilia" di Ibn Kalta, o gli scritti di Ibn Hamdis
di Noto, entrambi scrittori arabo-siculi, di cui molti testi sono
andati perduti. I ricordi più importanti che testimoniano la presenza
araba in Sicilia purtroppo
non sono quelli né quelli letterari né quelli architettonici.
Non ci rimane alcuna Moschea, perché trasformate in chiese cristiane, e
lo stesso Alkazar (l'attuale Palazzo dei Normanni di Palermo), non lascia più riconoscere la
parte costruita dagli Arabi, e ben poco di altri monumenti di quell'età
è giunto fino a noi; ma quanto rimane - parti di una moschea
incorporata nella chiesa di S. Giovanni degli Eremiti; parti di
castelli incorporati, come in quello della Zisa, o della Favara, e
negli ampliamenti successivi in epoca normanna o la struttura del
vecchio quartiere arabo di Mazzara, o le terme di Cefalà Diana - è
sufficiente per documentare la continuità della tradizione araba in
Sicilia.
Ma quanto ci manca d'architettura è fortemente rimpiazzato nella storia
linguistica della Sicilia. Numerosissimi toponimi: Caltanissetta,
Caltagirone, Caltavuturo, ecc, derivano il loro nome da "Kalat",
castello; Marsala, Marzameni, da "Marsha", porto; Gibellina,
Gibilmanna, Gibilrossa, da "gebel", monte; Racalmuto, Regalbuto, da
"rahal", casale e così via. E poi abbiamo anche termini commerciali
come: funnacu (fondaco), tariffa, sensale; termini agricoli come
fastuca (pistacchio), zagara (i fiori dell'arancio o del limone),
zibibbu (una varietà di uva), giggiulena (sesamo); vocaboli come
"calia" (ceci abbrustoliti) "giurana" (rana) , "zotta" (frusta); o
cognomi come Badalà o Vadalà (servo di Allah) Fragalà (gioia di Allah)
ecc.
Nella cucina, dal cuscus alla cassata, alle arancine. Tutta la nostra
cucina ha una forte impronta araba che si riconosce nell'uso delle
spezie, dello zucchero e dei profumi. Inoltre, antichi riti di magia,
credenze popolari, come le "truvature"; scongiuri e pratiche di fattura
che derivano direttamente dal fondo dell'anima araba della Sicilia,
come giustamente annota l'etnologo Giuseppe Pitré. Per strano che possa
sembrare sedici secoli di ellenismo sono stati quasi annientati
dall'arabismo che in soli due secoli è riuscito a lasciare una forte
impronta che né Normanni, né Svevi, né Spagnoli o Francesi e per ultimo
i piemontesi sono riusciti a cancellare. Questo può significare una
cosa sola: la dominazione araba non fu mero dominio ma integrazione con
i popoli autoctoni e dovrebbe essere da esempio.