Ambito di Ricerca:Le festività e le tradizioni religiose
LA PASQUA, AD ALIA (Pa) NEGLI ANNI '30/40 di Liborio Guccione
"LA PASQUA"
Con la festa della
Pasqua si festeggiava anche la primavera che al mio paese scoppiava
assai presto. E la Pasqua a Lalia si celebrava con solennità.Da
ragazzo, ricordo però che i giorni precedenti la festa di Resurrezione,
mi intristivano.
La Mamma, durante la settimana santa portava noi
bambini a visitare i "Sepolcri" , facendoci fare il giro di tutte le
tre chiese: Matrice, S. Anna, S. Giuseppe.
Le chiese erano semibuie, appena illuminate dalla luce fioca di qualche
candela; e gli altari mostravano i santi coperti da drappi viola, e
così pure i crocifissi, i quadri: tutto era lugubre, triste. Perfino i
colori dei fiori posti davanti all`altare maggiore, debolmente
illuminati dalle tremule fiammelle delle candele e dei lumini, venivano
falsati, apparivano come appassiti, spenti. E anche i lineamenti della
folla dei fedeli inginocchiati davanti all` altare, nella penombra si
scorgevano affilati, come fossero malati: tutto era funereo. lo non
vedevo l`ora di uscire dalla chiesa per sentirmi liberato da quell`
oppressione che mi durava poi tutto il giorno.
Io, dicevo alla Mamma
di quel mio malessere interno, che mi faceva tristezza la chiesa
semibuia, ma lei mi spiegava allora che quel mio stato era la pena che
provavo per la morte di Gesù. La Settimana Santa mi pareva lunga,
infinita, e attendevo con trepidazione il giorno della Resurrezione di
Gesù per riudire nuovamente le campane suonare a distesa, allegramente;
vedere gli altari, le statue dei santi senza più drappi e la chiesa
tornare alla luce, col sole che penetrava dall`alto dei vetri colorati;
risentirmi vivo, gioioso e godente di quella primavera; e la gente
tornare a sorridere.
Era giorno di festa, di allegrezza per gli uomini di
buona volontà, simboleggiata dalla pecorella, fatta di pasta di
mandorle (o anche di zucchero) e "li pupi cu l`uovu". La gente si
recava a messa portando, avvolti in candidi tovaglioli, "li pupi cu
l`uovu" per farli benedire dal prete al quale la comunità, attraverso
le confraternite, donava una bella pecorella di pasta di mandorle, con
la bandiera rossa sulla schiena.
La pecorella non era alla portata di tutte le tasche,
ma "li pupi cu l`uovu" sì, non mancavano mai, anche perché, in
definitiva, erano fatti di farina come il pane, solo che gli davano una
forma bizzarra, che so io, di un gallo o di un pupo, appunto, con un
uovo al centro che, spesso, era tinto di rosso o di altro colore;
facendo così la gioia dei bambini che si mostravano fra loro le
fantasie delle forme del pupo e del colore dell`uovo.
Altro dolce tradizionale della Pasqua era la cassata
siciliana; ma questa compariva, per la verità, sulle tavole di
pochissime famiglie, e don Attilio le faceva proprio su ordinazione. Ma
della Pasqua ho memoria di due momenti particolarmente toccanti: la
processione e il martorio. La processione si snodava per le vie
principali del paese, seguita da tutto il popolo che salmodiava e
pregava.
Ma il momento più emozionante era quello in cui
avveniva, a un certo punto, l`incontro della Madre col figlio Gesù
crocifisso: la Madre intristita dal dolore avvolta nel suo manto nero,
il figlio con le carni straziate. La gente osservava quell` attimo
d`incontro, guardando ora la Madonna ora il Cristo, con una, tensione
particolare, come se si attendesse che la Madonna scendesse di slancio
e corresse ad abbracciare Gesù, a curargli le ferite sanguinanti.
Il martorio era la rievocazione storica del martirio di
Cristo. La gente, quando si avvicinava l`ora della recita, partiva
dalle proprie case, recando in mano o sulle spalle una sedia, creando
un`atmosfera inusitata lungo le strade, solitamente solitarie e
silenziose. ù
Le case si svuotavano e tutti, grandi e piccini, si indirizzavano verso
la strada dritta, per giungere davanti alla chiesa di S. Anna dove era
allestito un palco per la recita del martorio. E ciascuno si affrettava
a giungervi presto per occupare i posti più vicini al palco, onde
godersi meglio lo spettacolo e udire, soprattutto, più chiaramente la
voce degli "attori".
Gli attori erano uomini e donne del paese, gente
semplice che si prestava a fare ognuno la sua parte: il Cristo, la
Madonna, Giuda... ce la mettevano tutta per recitare bene. E in qualche
misura ci riuscivano abbastanza, a giudicare di come la gente seguiva
con religioso silenzio le varie fasi della storia che condusse Gesù
Cristo sulla Croce.
La gente sottolineava le scene più toccanti, più
commoventi con applausi e anche con abbondanti lagrime. E, addirittura,
durante le fasi in cui la soldataglia romana picchia il Cristo sotto il
peso della croce, si sentiva qualche voce di protesta levarsi dal
pubblico, come se la gente vivesse nella realtà quelle scene
brutali.Tutto un paese raccolto, stipato lungo quella strada pendente,
seguiva muto quegli attori improvvisati che facevano rivivere uno dei
momenti più importanti della storia dell`Umanità.
Una storia che ricordava agli uomini, attraverso le
sofferenze del Martire del Golgota, come essi pure dovessero affrontare
le sofferenze, le pene della vita senza mai rinunciare alla loro fede,
senza mai rinunciare alla loro speranza di liberazione, lottando, come
Egli aveva lottato, contro le ingiustizie e i tiranni. Finita la
recita, si caricavano le sedie sulle spalle e tornavano a casa, ancora
sotto il peso dell` angoscia per quello che avevano visto. Man mano,
lungo le strade, la gente si lasciava andare nei commenti sulle varie
fasi dello spettacolo, soffermandosi sui particolari più toccanti, e
non trascurava di esprimere giudizi sugli "attori" e sulla loro bravura.