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IL VANGELO DELLA DOMENICA, 30/04
a cura di Don G.Silvestri
 

 

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IL VANGELO DELLA DOMENICA – 30 APRILE

IV DI PASQUA – ANNO A - Luca 24,13-35



In quel tempo, Gesù disse: «In verità, verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza».

 

 

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Il brano di questa domenica è un duro atto di accusa di Gesù al potere religioso ebraico e, in particolare a scribi, farisei, dottori della legge. Con la violenza e l’inganno si erano infatti impadroniti della religione ebraica e, di conseguenza, della buona fede della gente. Sotto l’apparenza della rigida osservanza religiosa e dello zelo intransigente, avevano trasformato la fede ebraica in un controllo capillare, legalistico, scrupoloso del comportamento del popolo, imponendo a tutti norme ossessive e precetti arbitrari su ogni aspetto della vita umana, individuale e sociale, e facendo della pratica religiosa e del culto al tempio un cascame insopportabile di adempimenti obblighi vari: infiniti riti di purificazione, rigide osservanze sociali, intoccabili e inviolabili tradizioni consuetudini, e poi, offerte, decime, tasse, balzelli vari.

 

Tenevano i fedeli in pugno, anzi in schiavitù, sotto osservazione e controllo continuo; il popolo veniva sfruttato e impoverito anche economicamente, depredato da imposte e contributi esosi, da obblighi e contributi, da continue offerte e sacrifici al tempio.

 

Per comprendere il linguaggio di Gesù occorre dire che a Gerusalemme c'era una porta detta appunto "porta delle pecore"; per essa infatti entravano le pecore che venivano sacrificate al tempio. Si spiega perciò l’attacco frontale di Gesù: “In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante”. Chiara l’accusa: falsi pastori, ladri e briganti nell’anima, scribi, farisei e dottori della legge si erano impadroniti della vita del popolo con il sopruso, con l’astuzia, con la violenza; con le loro scrupolose prescrizioni ricattavano di continuo i fedeli ebrei e infliggevano pene e condanne severe agli inadempienti. 

 

 

 

 Gesù, con una efficace metafora, afferma di essere invece Lui l’unico e il vero pastore; colui che entra nel recinto delle pecore ‘dalla porta’. Un pastore riconosciuto, benvoluto e ascoltato dalle sue pecore, perché Egli le conosce una per una e le chiama per nome; un pastore che le attira a sè con la forza della verità e con la loro libera adesione. Solo Lui le guida e le conduce liberamente ai pascoli, perché si fidano di Lui e ne ‘conoscono la voce’. Si spiega, perciò, perché per le vie della Palestina, la gente, le folle, seguono Gesù. Fuggono dagli scribi e dai farisei perché non sopportano più la loro ipocrisia e i loro inganni, e seguono Gesù perché riconoscono in Lui il vero pastore; l’unico pastore che non sfrutta e non fa violenza, che non costringe in alcun modo, non maltratta e non ricatta.

 

Il duro rimprovero ai farisei s’accompagna ancora a un’altra ardita metafora. Egli dichiara non solo di essere l’unico pastore, ma di essere addirittura Lui stesso la ‘porta delle pecore’: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo”. Mirabile verità! Pastore e, Lui stesso, porta del recinto! Lui cioè lo strumento di libertà, di vita, di salvezza delle pecore. Solo attraversando questa porta - Cristo stesso - l’uomo può entrare ed uscire liberamente, senza giogo, senza imposizioni, senza taglie, senza restrizioni e senza paura, senza minacce e senza castighi. L’attacco alle autorità religiose (‘ladri e briganti’) di Gerusalemme non può essere più duro, aperto e coraggioso. Essi, infatti, falsi pastori, non dalla porta sono entrati nel recinto ma da un’altra parte, cioè con l’inganno e la violenza, trasformando la religione in potere e arbitrio, riducendo in schiavitù la gente, incutendo scrupoli e paura, servendosi dell’inganno per rubare, uccidere e distruggere. 

 

 

 

     Davvero impressionanti le accuse di Gesù all’istituzione religiosa ebraica. Ovviamente il rimprovero di Gesù non si ferma solo al passato; né solo ai capi religiosi di duemila anni fa. Attualizzando, perciò, occorre dire che la dura rampogna di Cristo vale non solo per i falsi pastori del suo tempo, ma anche per i falsi pastori di ogni tempo. La proclamazione di questa pagina di Vangelo è, perciò, occasione di profonda riflessione anche oggi. Qui siamo tutti in questione. Siamo tutti con le spalle al muro, chi più chi meno, vescovi e preti, chierici e laici, autorità e popolo. Tutti. Una cosa è chiara come il sole. Che solo uno è il pastore nella chiesa, l’unico, il ‘vero’ pastore. Non ce ne sono altri. Né si tratta di distinguere tra pastori buoni e pastori cattivi. Tutti i pastori che si sostituiscono a Cristo sono ladri e briganti. Condannati quindi non sono solo i pastori cattivi; condannati sono tutti i pastori in quanto usurpatori del posto dell’unico pastore. 

 

 

 

     Con sottile astuzia noi però continuiamo a usare abusivamente il termine ‘pastore’. Certo il linguaggio non ci aiuta, ma esso non è innocente; ci ha ingannato e continua a ingannarci ancora: credo perciò che sia il caso di fare chiarezza, di tornare decisamente al vangelo, alla parola di Gesù, chiara come la luce. In ogni caso il problema è di sostanza più che di parole. C’è un solo popolo di Dio. c’è una sola comunità di fratelli, c’è una sola famiglia di figli di Dio. Nessuno può arrogarsi il titolo di pastore, di maestro. Lui, Lui solo, il Signore Gesù, è l’unico pastore, l’unica guida, l’unico maestro. Non ce n’è altri. 

 

 

 

      Sono chiare le conseguenze. L’unico ‘popolo di Dio’ non sopporta divisioni ontologiche interne, graduatorie aliene dal vangelo; né esistono generi diversi di cristiani, ruoli di presidio e di sottomissione, ruoli attivi e ruoli passivi. Nella chiesa siamo solo fratelli, servi gli uni degli altri, membra di un unico corpo, di cui uno solo è il capo, Lui: Lui, che è venuto a rovesciare radicalmente la logica umana del dominio, del potere, del comando, relegandoli definitivamente all’impero del male e di Satana. Cristo non ha successori o sostituti, per quanto degni. Siamo tutti servi e testimoni di Lui vivente e risorto, unico pastore e unica porta del Regno di Dio. Nessuno prenda il suo posto, mai.

 

 
     
Edizione RodAlia - 29/04/2023
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