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IL VANGELO DELLA DOMENICA - 14/05
a cura di Don G.Silvestri
 

 

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IL VANGELO DELLA DOMENICA – 14 MAGGIO

VI DOM. DI PASQUA - ANNO A – GIOVANNI 14,15-21

 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui».

 

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Cristo ha amato i suoi fino alla fine, fino all’estremo di ogni Sua possibilità, nulla mai chiedendo in cambio. Può sembrare strano, perciò, che nel brano del vangelo di questa domenica Cristo chieda ai suoi di essere contraccambiato:” Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”. L’osservanza dei comandamenti dovrebbe quindi essere la prova che anche noi amiamo Lui, con la stessa intensità con cui Lui ama noi. Un contraccambio del tutto umano, quasi egoistico?

 

In realtà, questa richiesta di Cristo è del tutto in linea con il suo amore estremo e incondizionato, non soggetto ad alcun contraccambio. L’amore di Cristo per noi è cioè antecedente a ogni movimento da parte nostra, prescinde dalla nostra risposta, previene ogni possibile gratitudine da parte nostra. Per dirla tutta, l’amore di Cristo per l’uomo, per ogni uomo, è assoluto, incondizionato, irrevocabile, qualunque sia la risposta umana, fosse anche la peggiore, fosse anche il rifiuto o il tradimento. Questo è il divino paradosso dell’amore di Cristo, inconcepibile per la nostra mente umana. Questo; anzi, il vero scandalo per la nostra ragione, abituati come siamo all’altra logica, quella del ‘do ut des’, del dono e del contraccambio, del tanto / quanto, dell’equilibrio del dare e dell’avere.

 

Le parole di Cristo ai discepoli non smentiscono questo paradosso. Dice infatti: se mi amate osserverete i miei comandamenti. Qui, Cristo non sta parlando dei comandamenti dell’antico testamento. Sta parlando invece dei suoi comandamenti; anzi del suo comandamento nuovo, che è quello, lasciato ai discepoli dopo la lavanda dei piedi: “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri [Gv13,15].

 

E, a seguire, dice ancora più chiaramente: ”Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri».[13,34-35].

 

Cristo dunque non chiede amore per sé, non vuole un ricambio a fini egoistici. Sarà strano per noi, ma Egli non sta ad implorare amore o gratitudine per quanto fa per noi. Egli, invece, viene a chiedere amore e tenerezza per quelli che ci sono fratelli e simili. Il paradosso perciò dell’amore incondizionato di Cristo non viene smentito né attenuato. Resta tutto. In altre parole Gesù chiede esclusivamente che sappiamo amare come ama Lui e chiede che il nostro amore per i nostri simili sia ugualmente incondizionato e senza misura come è il suo amore per ognuno di noi: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” [Gv.15,12].

 

L’amore di Cristo è, perciò, assoluto. Cristo non ci ama solo se lo ricambiamo, non aspetta la nostra gratitudine, non è condizionato dalla nostra risposta. Il suo amore poi è così grande e concreto fino a farsi ‘dono personale’ con l’invio del suo Spirito in noi: “io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito (lo Spirito) perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità”. Cristo, quindi, ci gratifica con la pienezza Suo amore donandoci, ancora incondizionatamente, un ‘paraclito’, un ‘difensore’, un ‘soccorritore’.

 

C’è di più. Questo dono sarà il Sigillo del suo donarsi totale all’umanità intera, quando la morte prima e l’ascensione poi, lo sottrarranno alla nostra vista: “Non vi lascerò orfani, verrò da voi”. Sarà lo Spirito, perciò, il dono della beatificante presenza di Cristo stesso in noi. Meglio ancora, il dono dello Spirito sarà la beatificante e definitiva presenza del Padre e del Figlio in noi; il dono perenne e irrevocabile, quindi, del perdono incondizionato e della misericordia infinita all’umanità fragile e peccatrice. Le parole di Cristo ci aprono qui a quell’ineffabile mistero nuziale tra cielo e terra che le nostre parole riescono appena balbettare: la presenza dello Spirito in noi pone fine tanto all’esilio umano dal cielo, quanto all’esilio di Dio dalla nostra terra. Siamo testimoni, noi cristiani, di ciò che è impensabile per la ragione umana.

 

Credenti o non credenti, tutti, siamo davanti all’unicità mirabile del mistero cristiano: Dio ha riconciliato a sé l’umanità in Cristo suo Figlio; nella sua Croce è sancita la pace definitiva fra cielo e terra; e nello Spirito che dimora in noi come nel suo tempio, ora siamo in comunione col Padre e con il Figlio. Se Dio, per primo, s’è mosso dal suo cielo per condividere totalmente, nell’Incarnazione, la condizione delle sue creature, ora a noi sue creature è dato, nello Spirito, di trascendere la nostra fragile natura umana per condividere pienamente la vita e la condizione divina.

 

L’umanizzazione di Dio in Cristo fa da perfetto ‘pendant’ con la divinizzazione dell’uomo nello Spirito. Mistero ineffabile, cioè ‘non si può dire’. Eppure, la fede cristiana è questo, assolutamente questo. Sottraendoci a ogni forma di ideologia o miraggio illusorio, piuttosto rispondendo al desiderio più profondo nascosto nel nostro cuore (basti pensare a quanto adombrato in molteplici miti religiosi di ogni tempo e luogo) facciamo ‘reale’, cioè storico e concreto, assolutamente vero, quanto avvenuto nell’Incarnazione e nel mistero pasquale di Cristo: l’umanizzazione di Cristo è la divinizzazione dell’uomo. Assieme a questo, di conseguenza, la fede cristiana professa e grida quanto di più ragionevolmente folle sia dato di pensare dell’uomo, ad iniziare dalla sua origine divina. L’uomo è fatto ‘ad imagine e somiglianza di Dio’: questa la ragione prima e ultima dell’amore folle di Cristo per l’umanità.

 

E questa la ragione prima ed ultima del suo comandamento dell’amore. Nell’uomo, in ogni uomo, è veicolato il divino per natura e per grazia; nella sorte dell’uomo, di ogni uomo, Dio mette la sua faccia, scommette sulla sua dignità. In altre parole, all’inizio (creazione) e alla fine (redenzione), l’uomo è al centro dell’essere e del divenire di Dio. Da ciò la novità assoluta e unica del comandamento dell’amore reciproco; nei fratelli, in ogni fratello e sorella, anche nella più piccola creatura umana, è in gioco l’identità stessa di Dio. Quando lo capiremo veramente? Quando ci convertiremo alla follia divina?

 
     
Edizione RodAlia - 13/05/2023
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