Per meglio raggiungere le comunità italo-americane Teresi si iscrisse alla loggia dell'Ordine dei Figli d'Italia e si servì della rete organizzativa di questa per fare meglio circolare il suo messaggio e rendere nota la sua disponibilità. Ma a mettere maggiormente in luce la filantropia di Teresi fu la sua attività pubblicistica che egli esercitò scrivendo opuscoli e collaborando a una serie di giornali in lingua italiana. Tra le testate sulle quali comparve più frequentemente la sua firma ricordiamo «Il Corriere di Buffalo», «La Folla di New York», «Il Tempo», «La Domenica», «La parola del medico», «La Guida Coloniale», «Il progresso italo-americano», «Il Popolo Italiano» e «La Stampa Unita», di cui per parecchi anni fu contributing editor.
Tra i suoi libri e opuscoli ebbero particolare successo : I limiti del diritto al matrimonio nei degenerati (1910), Ai giovani figli d'Italia (1932) e una raccolta di scritti e articoli, prevalentemente rivolti a quanti dall'Italia si erano trasferiti negli Stati Uniti, con il significativo titolo Con la Patria nel cuore, la mia propaganda fra gli emigrati (1925), pubblicato e diffuso anche in Italia dalla casa editrice palermitana D'Antoni. «Questo libro - spiega l'autore nella prefazione - vuol riassumere e continuare con maggiore efficacia, in un campo più largo, quell'opera a cui ho da lungo tempo consacrato la mia modesta ma fervida cooperazione : salvare la italianità, che tende a disperdersi nel mondo, e fare dell'emigrato un degno rappresentante della Patria all'estero; degno per virtù di uomo e di cittadino, che sente la nobiltà della propria stirpe e non ne tollera deturpamenti sacrileghi o svalutazioni maligne. »
Teresi fu anche poeta. Ed è superfluo dire che gran parte dei suoi componimenti, alcuni anche pregevoli, sono dedicati agli emigrati e alla Patria lontana. Tra questi ultimi è Il canto dei figli d'Italia, che, a richiesta dell’autore, venne musicato dal Maestro Basilio Graziano, ma, a quanto pare, non ebbe quella fortuna auspicata da Teresi.
Lo si può dedurre da un appello lanciato dall'autore nel 1957, che, unitamente al testo del canto, riportiamo in appendice. «Ora - vi si legge fra l'altro - desidero ritentare la prova perché sento che nel Canto dei figli d'Italia possa sopravvivere qualche cosa della missione educatrice a cui mi sono consacrato in America per ben cinquant'anni».
E, poi, disposto ad accettare qualsiasi sorte, aggiunge: «Ma dovesse fallire anche questo tentativo, io troverò sufficiente conforto nella opportunità di dire con paterna dolcezza agli emigrati e ai loro figli : 'Sinceramente vi auguro che possiate trovare un Canto molto migliore del mio. Ma un canto dovreste averlo e farlo sentire in tutte le solennità, per ritemperare la vostra fede, per ravvivare i vostri entusiasmi, per guidarvi uniti nella marcia verso l'avvenire . Rompete una buona volta il vostro troppo lungo silenzio' ... E cedo alla tentazione di aggiungere : 'In realtà non è il povero Teresi che bussa alla vostra porta, ma è l' Italia (...)' ».
Si coglie un certo sconforto nelle parole di Matteo Teresi, già settantaduenne, ma è ancora viva la speranza nella redenzione civica e morale degli italiani divenuti anche cittadini americani. Egli continua ad augurarsi che essi non perdano il senso dell'italianità, ossia quei valori che nei secoli avevano fatto dell'Italia un grande Paese. Tra i valori l'«anticlericale » Teresi non esclude quello religioso e il fatto stesso che all'interno del territorio italiano ha sede il centro del cattolicesimo.
A tal proposito va detto che la triste vicenda di cui si sarebbe reso protagonista qualche sprovveduto prete di Alia, non indebolì la religiosità tutta di tipo cristiano da lui ereditata in famiglia e «assimilata in piena consapevolezza». E, quasi certamente, «si trattò anche di cattolicesimo che, se non praticato, fu condiviso nella sua essenza dottrinale» . In tutti i suoi scritti il sentimento religioso dà forza al modo di esporre e argomentare le idee anche se si coniuga con l'ideologia socialista sopra accennata.
Nelle raccomandazioni e nei consigli da lui indirizzati agli emigrati ricorrono spesso le citazioni del Vangelo o i riferimenti alla morale cristiana. L’esule aliese giunge finanche a suggerire l’opportunità di «porgere l’altra guancia» a chi dovesse dare uno schiaffo, poiché, a suo parere, ciò «significa evitare il secondo schiaffo, tagliare la catena dei mali, interromperla fino dal primo anello», poiché «l’avversario che si aspetta la resistenza o la fuga, rimane umiliato, interdetto, nella confusione ha tempo di rientrare in sé stesso e vergognarsi del malfatto» .
Chi conosce le vicende dell’autore non può non scorgere nell’immediata lettura di queste frasi un aspetto autobiografico. E ne ha conferma più avanti, allorquando Teresi così prosegue : «nessuno più di me è stato bersaglio della violenza verbale, spinta oltre l’ingiuria, fino a toccarmi nell’onore, fino a contendermi il pane : - or bene, io ho fiducia che il mio atteggiamento «cristiano» finirà col convincere gli avversari che le energie ribelli si possono spendere più onestamente e più nobilmente. Dal mio danno e dal mio dolore non traggo propositi di vendetta, ma insegnamenti morali : - mi educo educando» .
Il suo, come si può rilevare, è un cristianesimo vissuto e praticato in prima persona e raccomandato, alla luce della propria esperienza, agli emigrati, molto spesso vittime di soprusi e di grosse ingiustizie. A costoro Teresi, in altri termini, consiglia la resistenza passiva, la quale non è affatto mancanza di coraggio, bensì segno di un coraggio morale, destinato, prima o dopo, ad affermarsi. Egli è convinto che, se all’odio si risponde con l’odio, l’aggredito e l’aggressore, scambiandosi magari le parti, non cesseranno mai di aggravare la situazione e di farsi del reciproco male, mentre, se da una parte e dall’altra, si mette fine alla violenza, saranno entrambe a guadagnarci. Si scopre, altresì, nell’avvocato aliese – divenuto punto di riferimento degli emigrati e da loro riconosciuto come guida – l’alto senso di responsabilità a diffondere messaggi di prudenza per scongiurare e condannare le reazioni a cui spesso gli italo-americani, tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX, si lasciavano andare di fronte alle provocazioni di altri gruppi etnici.