Ambito di Ricerca:Le festività e le tradizioni religiose
Processioni a Lercara_San Giuseppe
Esse sono quelle realative alla Pasqua, all' Ascensione, al Corpus Domini, alla Madonna di Costantinopoli, a Santa Rosalia, al SS. Crocifisso e all' Immacolata Concezione. La più sentita e partecipata, anche rispetto alla principale del 20 agosto, dedicata alla patrona di Lercara, è la processione del SS.Crocifisso, venerato nella chiesa di San Matteo. Di particolare menzione sono i riti natalizi e quello di San Giuseppe: per il fervore di allestimento dei presepi, meta di visitazione di devoti e di curiosi; per la rinnovata tradizione annuale di dar vita con corteo e figuranti alla ricostruzione di un episodio evangelico, relativo alla Sacra Famiglia.(by RodAlia)
corteo della Sacra Famiglia con "virgineddi"
Festa di san Giuseppe
Ricorre il 19 marzo ed è caratterizzata da un'espressione popolare
che rievoca, secondo una libera interpretazione, la fuga in Egitto. Però,
la ricerca affannosa di un alloggio richiama, impropriamente, la nascita di
Gesù espressione che si traduce in beneficenza nella figura di san
Giuseppe, definito "padre della Provvidenza".
Si tratta di una "sacra rappresentazione" i cui personaggi
si muovono seguendo un rituale che si ripete da secoli, che conserva fascino,
folclore e carica emotiva, e riceve colori e vivacità dall'incipiente
primavera.
Alcune famiglie, per devozione, per grazia ricevuta o in segno propiziatorio,
nella giornata del 18, allestiscono la "Tavulata", sostenendone
le spese oppure con il denaro di concittadini. In quest'ultimo caso la questua
viene effettuata anteriormente all'evento e la richiesta, che simboleggia
un atto di umiliazione, assurge a titolo di merito.
La promessa può prevedere di accettare soltanto offerte di minimo valore
e di eseguire la raccolta camminando a piedi nudi in segno penitenziale.
La Tavulata è formata da una lunga tavola posta al centro di
una stanza, in fondo alla quale, tra rami di alloro e di rosmarino, di rose
e bandierine di carta colorata, sovrasta il quadro di san Giuseppe o della
Sacra Famiglia, davanti ai quali sono collocati tre grandi pani votivi: a
forma di barba per san Giuseppe, rotondo, a cucciddatu, per il Bambino
Gesù, a forma di guastedda per la Madonna.
La tavola trabocca di piatti poveri e la medesima pietanza è presentata
sotto diversi tipi di cottura. Sono alimenti comuni: pasta, sardi, finuccheddi di muntagna, pignulata, sfinci, cannola, carduna, vrocculi, favi, cacocciuli, alivi, ova, tosi duci, e, presentemente, prodotti esotici e moderne invenzioni gastronomiche.
Vi si trova un bicchiere o boccale contenente vino e acqua, non miscelati bensì rigorosamente separati, in ricordo della bevanda che, secondo la tradizione, venne offerta ai personaggi due millenni fa. Qua e là , sparsi, oggetti formati di pasta di farina, come la scala, il grappolo d'uva, la mano, la sega, ciascuno con un proprio significato simbolico. Tutta la tavola è abbellita da bandierine di
carta variopinta estrosamente lavorata, di forma triangolare e fissate alle pietanze.
Completato l'allestimento, viene accesa una lampada all'ingresso esterno dell'abitazione
e interviene il sacerdote per la benedizione.
A partire dal pomeriggio e sino a tarda sera, e per tutta la mattinata successiva, un numero considerevole di persone viene a "vedere" le tavolate
e i visitatori, muovendosi lentamente in senso antiorario, osservano attentamente e ammirano la capacità creativa dei proprietari. Uscendo, ricevono
un po' di pane o pignulata e i bambini anche una bandierina.
Il "pellegrinaggio" è un momento di solennità collettiva e un messaggio di comunione.
Ad interpretare i personaggi della Sacra Famiglia, detti virgineddi, venivano chiamate persone
appartenenti a famiglie indigenti, poichè la ricorrenza era una opportunità per elargire doni di ordinaria necessità e alle ragazze orfane capi di corredo; ciò avveniva non oltre il 1950 e fino a qualche decennio fa si distribuiva del vestiario.
I personaggi indossano costumi d'epoca confezionati dalla padrona di casa.
Maria e Gesù vesti bianche, con una larga fascia a bandoliera di colore,
rispettivamente, rosa e celeste; Maria porta un diadema di zagara con velo
e Gesù una corona di rose di carta colorata. Giuseppe, invece, indossa
una tunica bleu e alla cintola una fascia rossa; tiene un bastone ornato di
rose e di strisce di carta rosa e verde.
L'elemento ornamentale dominante è costituito dalla carta, un materiale di poco conto che, abilmente lavorata, riesce a dare un'eleganza semplice
e dignitosa, un simbolo che esorta alla parsimonia e richiama l'umile condizione della famiglia di Nazareth.
Da parecchi decenni è scomparsa la presenza di ragazze al seguito dei
tre personaggi, vestite di bianco e ornate di rose di carta, dette pure virgineddi
che solitamente erano orfane o "figlie dello Spirito Santo".
Quest'anno, invece, la rappresentazione ha assunto una nuova fisionomia, essendovi
intervenuti diversi giovani e bambini, tutti vestiti in costume d'epoca. Il
corteo, formatosi in piazza Santa Rosalia, ha percorso la via principale per
recarsi alla chiesa di san Giuseppe. La Madonna in groppa ad un asinello e
san Giuseppe con il Bambino per la mano, accanto. Al seguito le ragazze.
Altra iniziativa ha caratterizzato la ricorrenza. Nella piazzetta san Giuseppe
è stata allestita una grande tavolata di pane e la sera a tutti i presenti,
accorsi numerosi attratti dalla novità , sono stati offerti il pane
e la pasta con le lenticchie e i finocchietti, preparata sul posto.
Intorno alle ore undici del giorno 19, i tre, tenendosi per mano, escono dalla
casa dove si trova la Tavulata e, preceduti dal tamburo e seguiti da ragazzi
e da persone, festanti, in prima fila i "padroni di casa", si recano
nella Chiesa di san Giuseppe per assistere alla messa.
Accompagnati da un séguito più consistente, il corteo fa ritorno
alla casa dalla quale era uscito. Durante il percorso si ferma davanti ad una abitazione
e Giuseppe bussa alla porta con il bastone.
Allora dall'interno alcune donne domandano:
"Chi è?".
"San Giuseppe", viene risposto.
E le donne ribattono:
"Nun c'è locu, nè lucanna, itivinni a natra banna".
Al diniego, i tre si recano presso altre case vicine e bussano inutilmente.
Ritornano, quindi, alla "loro" casa.
Questa volta è Maria a bussare, ma riceve ugualmente il rifiuto ad
entrare. Per ultimo bussa il Bambino.
"Chi è ?" viene detto.
"Lu Bammineddu".
Immediatamente si spalanca la porta e dall'interno giunge un canto gioioso di donne: e
"Si grapi sta porta cu tanta alligria
cà trasi Gesù, Giuseppi e Maria" ; e poi,
"Ch'è bedda stà
pasta, si mancia e ni resta
ch'è bedda sta festa, c'a marzu
si fa".
I tre personaggi varcano la soglia e la padrona di casa, pervasa da palese
commozione, s'inchina e recita pomposamente:
"Dàtu ca siti, Gesù, Giuseppi e Maria, siti
benvinuti 'ncasa mia".
Dietro di loro entrano parenti, devoti e vicini. Tutte le azioni che si eseguono da ora in poi, sono dirette dalla "padrona"
che funge da cerimoniere. I personaggi si lavano le mani in una bacinella
di porcellana posta su un sostegno di ferro battuto; l'acqua viene versata
con una brocca anch'essa di porcellana; si asciugano con una tovaglia di lino.
La brocca può essere d'argento e il sostegno della bacinella, di bronzo;
è importante che gli oggetti siano di pregio.
Ricevono un bicchiere d'acqua ed uno spicchio d'arancia che consumano; poi,
si accostano ad una tavola apparecchiata, adornata da una tovaglia dal ricco
ricamo, si fanno il segno della Croce e il ragazzo-Gesù benedice le
pietanze.
Recitati l'Ave Maria, il Padre nostro e il Gloria, pranzano serviti dalla
proprietaria; tutti applaudono e le donne ripetono:
"Ch'è bedda stà pasta / si mancia e ni resta
ch'è bedda stà festa / c'a marzu si fa ".
Dapprima viene servita la pasta con le lenticchie simbolo di abbondanza,
poi con le sarde e, infine, con i finocchi; di séguito, assaggiano
tutte le pietanze. Inizialmente bevono vino miscelato ad acqua, alla fine
soltanto vino.
Terminato il pranzo, metà del contenuto della Tavulata viene donato
ai tre personaggi, l'altra metà offerta alle persone presenti e il rimanente, una volta, era distribuito ai poveri del paese.
I tre, ritornando alle proprie abitazioni, portano in mano, bene in vista,
i pani e i doni ricevuti.
Nei decenni trascorsi si recitavano preghiere, orazioni e canti, tra i
quali:
San Gisippuzzu ca fùstivu patri
fùstivu virgini comu la matri.
Maria la rosa, Giuseppi lu gigghiu.
Dàtini aiutu, riparu e cunsigghiu.
Scura stasira e agghiorna dumani
la pruvidenza n'haviti a mannari
prima di l'arma e poi di lu corpu
San Gisippuzzu dàtini cunfortu.
Comu purtasti a Maria in Egitto
cunsulatini stu cori affrittu;
quanto amuri purtasti a Maria
consulati stu poviru cori miu.
Vi sono dei fedeli che, a proprie spese o raccogliendo le somme, preparano del pane, detto "pani di san Giuseppi", contenente semi di finocchio, e, fatto benedire, lo distribuiscono a coloro che hanno dato l'offerta, ai parenti, agli amici e ai vicini. E' consuetudine che ad un tozzo di pane benedetto si incastoni una moneta e si conservi in segno propiziatorio. Qui, il motivo religioso si fonde con il profano. ...............