Non so fino a che punto le sillabe riportate qui sopra vi saranno chiare, ma se provate a sonorizzarle, forse non vi sembreranno più così bizzarre e vi ritroverete per caso ad imitare "lu tammurinu". Il tamburo è uno strumento antichissimo e di larghissima diffusione sia in seno alla civiltà occidentale che nelle culture di interesse etnologico. I tamburi tradizionali sono di tipo bipelle a fusto cilindrico in cui l'elemento vibrante è la pelle superiore chiamata "battitoia" mentre l'altra, che vibra per simpatia è detta "bordoniera"; con il nome di "fascia" si indica il fusto di legno che ne forma il corpo di risonanza.
In alcuni paesi, ancora oggi, è il suono del tamburo a diffondere nell'aria quell' atmosfera frizzantina, densa di eccitazione tipico preludio della prossima festa. Il fascinoso musicista che si avvaleva di uno strumento così semplice, eppure così particolare, era detto "tammurinaru". "Lu tammurinaru" la vigilia della festa, si alzava presto e girava per le strade deI paese rullando sul suo tamburo "per una parte più e meno altrove" a seconda dell'audience a sua disposizione. Laddove, infatti, sapeva di trovare qualche buon cristiano disposto ad offrirgli da bere, si lasciava andare in una "tammuriniata"più lunga.
Quando c'era una festa di particolare importanza come per esempio la festa patronale, uscivano per le strade del paese fino a tre "tammurinara". C'erano alcuni fondamentali momenti della festa che dovevano essere assolutamente accompagnati dal rullare del tamburo: l'inizio della messa, il momento della consacrazione, la fine della messa e la processione. Durante la processione ogni "tammurinaru" camminava davanti la propria confraternita - solitamente erano quattro - : Sant'Anna, San Giuseppe, la Madonna e il Sacramento. Ad Alia tra "li tammurinara" più famosi si ricordano i Taulli: "lu su Giuvanni, lu su Turiddu e Ninu" e ancora "lu tammurinaru" Minnella, reduce da una singolare esperienza. Racconta, infatti, lo stesso signor Minnella di essere stato "allampato" e quindi salvato miracolosamente dalla Madonna, alla quale, in seguito, avrebbe promesso vita natural durante, il suono del suo tamburo... e ancora oggi lo si sente suonare, sebbene ormai trascini a fatica le sue membra stanche. Ovviamente il mestiere di "lu tammurinaru" non era particolarmente redditizio, perchè legato a brevi periodi dell' anno, e quindi "li tammurinara" , solitamente, erano anche dei contadini. Il giorno della festa erano invitati a pranzo dal "tesoriere" colui il quale, cioè, si occupava di "cògghiri" per la festa. Un pranzo abbondante, ma non tanto quanto quello di "li virgineddi" che si teneva per il giorno di San Giuseppe e che era il pranzo più atteso di tutto l'anno.
"Li virgineddi" erano 13 bambini vestiti di bianco che insieme ad altri due figuranti, di circa 16 anni, nelle vesti di San Giuseppe e della Madonna, con tanto di Gesù Bambino, giravano nel giorno della festa di San Giuseppe per il paese preceduti da "lu tammurinaru". Dopo aver a lungo camminato, si ritrovavano a bussare infine, alla porta dell'organizzatore - una sorta di mecenate della festa per devozione - che puntualmente rispondeva: "nun c'è locu nun c'è lucanna va itivinni a nautra banna". Questo si ripeteva per ben tre volte. La terza, però, era quella buona che permetteva l'ingresso di "li virgineddi" e di "lu tammurinaru" in casa dell' organizzatore, dove li aspettava un pranzo davvero luculliano.
Laura Seragusa
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pubblicato in "La VOCE" di Alia, nr.3/98, pag.17