(a
metà
degli anni '50, la "Chiazza nova" era quì, al posto dell'edificio
postale)
Per chi ha trascorso la propria
fanciullezza ad Alia dire mese di maggio significa evocare immagini,
circostanze, persone, ricordi e lasciarsi avvolgere da un'atmosfera di
primavera che eccita il cuore.
Campi sterminati ondeggianti di tenere spighe dai chicchi che sanno
ancora di latte e tappeti di fiocchi di sulla ( sudda), alti quasi da
nascondere le mandrie dei buoi al pascolo; vellutate distese di rametti
carichi di fave che eccitano ancora i sensi al pensiero della profumata
frittedda: la nonna, dopo aver trascorso buona parte del pomeriggio a
sgusciare fave e piselli, a pulire carciofi e cime di finocchietti
selvatici, ne preparava in abbondanza ed insaporiva il tutto con aglio
novello e tanto olio.
E poi? Candide coperte di margheritine bianche (sciuri di maju) tra le
vigne già "'mpupate" che fanno bella mostra dei grappoli in fiore;
cespugli di ginestre dorate ed alberi di mandorlo stracarichi di
"minnuliddi" un po' asprognole, ma gradite al gusto di tanti, piccoli e
grandi. Senti il sapore in bocca e insieme quasi rimbomba alle tue
orecchie una voce a te nota, quella di lu zi' Ninu che dice: Ci
vulissi un beddu corpu d'acqua. Diu vidi e pruvvidi - gli
risponde lu zi' Peppi appena scivolato giù da cavallo.
É l'ora del rientro. Il sole si sta nascondendo dietro le serre di
Cammarata, si svuotano le contrade e si animano le mulattiere come
tutte le sere. Suona l'Avemaria. Si riuniscono le famiglie. I ragazzi
del quartiere che giocano alla "Chiazza nova", quella sera di maggio
non hanno voglia di rientrare a casa: sono fermi a gruppetti in vari
punti delle strade adiacenti all'incrocio tra via Mazzini e via
Parrocchia; si attardano ad osservare una ventina di uomini che,
facendo un gran baccano attorno ad un camion in sosta, stanno
scaricando una macchina mostruosa, pesantissima nella "putìa" del
fabbro mastro Vincenzo.
Ogni tanto, quando fuori fa freddo, le maestranze e i giovani
apprendisti di quell'officina permettono a qualche ragazzino del
vicinato di entrare e mettersi al calduccio vicino alla forgia, a patto
che aiuti ad azionare il pedale del duro mantice di cuoio e tenga desto
il fuoco. Negli anni '50 le tecniche di lavoro adottate dal fabbro sono
ancora quelle del dio Vulcano.
Il ricordo di quella sera dell'arrivo del maglio rimane indelebile
nella mente dei fanciulli. L'indomani essi si ritrovano puntuali a
giocare lungo l'inferriata della nostra piazza e commentano
puntualizzando che la macchina strana si chiama maglio e funziona
grazie ad un motore elettrico: appena l'operatore le dà il via
pressando un pedale, ecco entrare in funzione un cilindro enorme che
sale e scende battendo rumorosamente il ferro incandescente, dandogli
la forma necessaria in soli pochi minuti.
Un'altra novità?
E' scomparso ancora dall'officina il mantice, quel vecchio sacco di
cuoio indurito dal tempo e dalla fuliggine che richiedeva tanta fatica;
al suo posto è stato montato un soffietto elettrico che lavora di
continuo e senza mai stancarsi!
Tanti cambiamenti, giungendo nel mondo del lavoro, nelle famiglie e
nella vita di ogni giorno ad Alia, creano nei genitori l'illusione che
i figli non emigreranno più, che nasceranno delle prospere aziende
agricole come nel nord Italia, che le piccole botteghe artigianali
potranno diventare capannoni industriali e offriranno lavoro a molti.
L'arrivo delle macchine agricole e degli attrezzi tecnologici, degli
elettrodomestici e della televisione non faranno il miracolo, anzi
presto si verificherà un vero e proprio svuotamento dei quartieri, un
vero esodo biblico che vedrà partire non soltanto i giovani, ma anche
gli anziani comprese le maestranze artigianali. La popolazione
residente si ridurrà a meno della metà.
Oggi quasi tutti i fanciulli della "Chiazza Nova" vivono lontano, ma
mantengono costante il rapporto con le proprie radici: la crescita
culturale, il benessere economico e le invenzioni nel mondo delle
comunicazioni, che rendono facili gli spostamenti, permettono loro di
rientrare ad Alla quando lo desiderano.
Tutti siamo stati fuori, alcuni per un breve periodo; sappiamo quel che
si prova al ritorno appena scorgiamo da lontano sul pendio della
montagna quel paese dalla forma particolare, in mezzo al quale
distinguiamo per il suo aspetto di antica fortezza il Santuario della
Madonna delle Grazie, il nostro "Tempio di Fede". Ci sentiamo felici di
essere prossimi ad arrivare tra quelle pietre che custodiscono il
simulacro miracoloso della Madre di Dio, la sorgente della Speranza
alla quale attingiamo anche da lontano.
Filippo Chimento
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pubblicato nel Periodico
parrocchiale
"La VOCE" di Alia, nr.2/2010, pag.13
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