”A lu Zarbu” col turbante
”A lu Zarbu”
col
turbante
Se si va a consumare
“zabbina" a “Lu Zarbu",
a stomaco vuoto e, in testa, non necessariamente, il turbante, ma,
almeno, un'infarinatura di cose arabe, sentiamo subito che c'è
nell'aria ancor prima che nelle parole e negli atti dei personaggi di
la “mànnira" , qualcosa dell' incanto degli
ancestrali “cunti di la nanna". Entri ”na
lu pagghiàru, cu tettu a la saracina" attraverso una
porticina che interrompe la solidità di ”lu cassu, tuttu
petra e taju" , arenaria dura del Miocene, e, vedendo ”lu
cràtulu", patruni e sociu di mannara"muovere lentamente ”lu
zubbu", attento a non fare attaccare la ”lacciata a
lu funnu di la quaràra di ramu stagnatu",
non gli dirai, subito, quel che sai, e cioè, che, nella lingua araba,
ha lo stesso nome un arnese ad esso somigliante, ma di ben diversa
funzione..
Lu ”cràtulu", pur non perdendo di vista ”quaràra
e furnàca", si permette qualche ”smàfara"
per manifestare l'alto gradimento del visitatore, per quanto non
invitato, ed essendo, ormai, prossimo il momento che precede
l'affioramento della bianca creatura, che seduce l'anima, ancor prima
dei sensi, lascia ”lu zubbu pi' la cazza", pòrta
dall'attempata
sposa, bella come una cassata. Il crinale tra bollitura e non bollitura
è sottile, ma esiste, deve esistere...
Ed ecco che la ricotta
comincia ad affiorare come neve che venga dal basso, in un mondo al
contrario, o, se si vuole, come Venere, partorita dalla spuma del mare.
E una cazzàta a me, una a te, sino all'esaurimento, la ricotta viene
assegnata, con rigoroso criterio, nella quantità e nell' ordine, a
recipienti in carne ed ossa e di giunco.
Prima di abbassare la saracinesca su questo piccolo bazar di tre o
quattro ”lemmi" , di sicura o sospetta radice
araba, checché ne pensi Silvio, mi scappa detto: ”Non la
Coop, ma gli Arabi, sei tu!...".
Sono sicuro, però, che anche il nostro premier annuirebbe, contento, se
gli capitasse, di leggere queste righe, anche se considererà segno di
progresso, la sostituzione di ”fasceddi di juncu",
cilindrici, di varia misura ”vacilieddi di ramu e mazzi di
liama, sischi, tini e siscuna di castagnu", tronco-conici,
risultato della giustapposizione di ”duvi", tenuti
da ”circhi", con i tanti, di varia foggia, colore e
grandezza, comodi, contenitori di plastica.
Se al Premier saltasse in mente, poi, di interdire l'uso di ”li
quarari di ramu stagnatu, nna li nuostri casi e nna li nuostri
pagghiara"
che ci consente di vivere ancora nel Miceneo, imponendo le pentole di
alluminio, zitterebbe per sempre il grido, duro a morire: ”Cu
àvi quaràri di stagnari?! . di lu quararàru", che, come il
rosso di sera e di mattina o il colore della luna, aiuta la gente a
capire che tempo farà.
Didacus
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pubblicato nel Periodico parrocchiale di Alia “LA VOCE” nr.3/02, pag.3
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