Filippo
Guccione, illustre professore di Anatomia Patologica alla facoltà di
Medicina dell'Università di Palermo, nacque ad Alia in via Nicotera il
21 dicembre 1887 da donna Antonina Parlavecchio (in dialetto
Barravecchia) e da Giuseppe Guccione, agricoltore. Per gli aliesi era "
lu Prufissuri di Donna Nina " cioè figlio di donna Antonina e nipote
del dott. Sireci.
E' questo un caso di matriarcato, le cui
radici molto profonde nella storia della Sicilia, risalgono a tempi
lontanissimi: anche ad Alia capitava spesso che i figli venissero
indicati con il nome della madre, ma in pieno rispetto del padre, se la
donna apparteneva ad una famiglia più nota o possedeva una personalità
molto spiccata e quindi particolarmente conosciuta dalla gente.
Abbiamo
la certezza che a donna Nina apparteneva il palazzo comprendente
l'intero isolato che da via Nicotera si affaccia su via Mazzini e quasi
tutte le proprietà immobiliari dell'intera famiglia.
Il giovane
Filippo frequentò la facoltà di medicina presso l'Università di Bologna
e conseguì - di sicuro brillantemente - quella laurea che poi gli
avrebbe dato accesso alla cattedra di Anatomia Patologica nell'Ateneo
palermitano. Il nostro professore era di statura media, bruno di
carnagione, di corporatura robusta tendente alla pinguedine e di
carattere schivo e solitario. Dagli studenti, futuri medici, pretendeva
ottima preparazione:"il suo fare rigoroso e la voce un po' cavernosa
gli procurarono la fama di professore estremamente esigente e che non
accettava raccomandazioni.
Condusse una vita molto semplice,
tutta dedita agli studi ed alla famiglia di origine. I risultati delle
sue ricerche ricevettero riconoscimenti e benemerenze scientifiche su
scala nazionale ed internazionale e contribuirono a far conoscere la
Facoltà di Medicina dell'Ateneo palermitano come una delle migliori
d'Italia.
Negli anni cinquanta, il nome del direttore della
clinica Filiciuzza, prof. Filippo Guccione assurse agli onori della
cronaca giornalistica nazionale per aver risolto il clamoroso caso Lo
Verso, un medico che, avendo avuto l'idea di liberarsi della moglie
somministrandole diabolicamente delle gocce di cianuro in dosi
piccolissime e per un lungo periodo, sarebbe sfuggito alla giustizia se
non fosse incappato nella perizia scientifica affidata al nostro
professore che ne dimostrò la piena colpevolezza e ne determinò la
severa condanna.
Ad Alia risiedeva tutto il suo mondo affettivo:
Rosalia, Bettina, Maria, Angela ed Elvira erano le cinque sorelle tutte
nubili che trascorsero l'esistenza prendendosi cura
dell'amministrazione delle cospicue proprietà di
Mazzaporro
(Marcatobianco), Passocuncetta, Marcatu e Acqua longa.
Queste donne, molto religiose e vicine alla chiesa, vivevano
soprattutto aspettando ogni fine settimana il rientro a casa del
prestigiosissimo fratello che ad Alia riverivano e salutavano con un
"Voscenza
benedica" e lui rispondeva
"salutamu".
Il nostro caro Vincenzo Dispenza da Baton Rouge, - USA - da ragazzino
era "di casa" presso le signorine di donna Nina e ci fa sapere che per
ben tre anni, ogni sabato a mezzo giorno, si recava alla fermata della
corriera al
Cozzo della Piazza" per accogliere il
professore aiutandolo a portare la nota borsa di cuoio. Al piccolo
Vincenzo era
affidato anche il compito di portare al parroco della Matrice il vino
per le celebrazioni eucaristiche: lui, in cambio riportava alle
signorine belle parole di
ringraziamento esaltanti la bontà del vino
fatto con l'uva di
Passucuncetta. Le signorine di
donna Nina, vere gentildonne aliesi, furono generose con chiunque si
rivolgesse loro e con la Chiesa tanto da rendersi benemerite del
restauro della Cappella del Santissimo. A loro fu riservato il massimo
onore di tenere
in custodia il Tesoro della Matrice.
Alla fine di una lunga vita se ne andarono forse senza aver mai
lasciato Alia per un solo giorno.
Il Professore, che si dichiarava non credente, ebbe una grande
devozione per la madre; fu filantropo di animo buono e generoso; la
gente lo ricorda per la sua disponibilità professionale, per i tanti
consulti medici prestati e le cure gratis offerte ai suoi concittadini
affetti da gravi malattie. Il nostro parroco, don Antonino Di
Sclafani, ricorda che a volte al mattino della domenica, lo si vedeva a
cavallo della sua giumenta e scorÂtato da qualcuno a piedi, dirigersi
verso la casa di un malato residente nelle scoscese vie del Rapatello.
Allo stesso modo delle sorelle egli si spense di vecchiaia tra le mura
domestiche: era il 2 febbraio 1976 e puntuale suonò l'agonia alla
Matrice, a Sant'Anna e a San Giuseppe, le tre chiese alle quali sono
legati tanti nostri ricordi, spesso resi belli dalla magia della
memoria. Perchè non intitolare una strada al nostro illustre
concittadino?
Filippo Chimento
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pubblicato nel Periodico parrocchiale di Alia "La
VOCE", nr.1/2010, pag.13
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...ecco che cosa
scrive anche Liborio Guccione, giornalista e scrittore aliese, nel suo
libro "Giorni vissuti come fossero anni", sulla
figura del Prof. Filippo Guccione.
â€
Non posso chiudere questo capitolo dedicato ai ricordi di
personaggi,ambienti e situazioni che nei particolari e nell'insieme,
scorrendoli ora con la penna, mi riempiono ancora l'animo di tenerezza
e di voglia di rivivere quel tempo che sembra così tanto lontano, senza
ricordare
una figura che onora la storia di Lalia e la sua comunità .
Parlo del professore Filippo Guccione,
emerito ed insigne docente dell'Università di Palermo, dove insegnò
Anatomia Patologica. Fu studioso di risonanza nazionale e
internazionale. Le sue benemerenze scientifiche, il suo patrimonio
culturale nel campo della ricerca medica ancor oggi costituiscono fonti
di apprendimento. Mi auguro che gli aliesi abbiano saputo onorarne la
memoria, additandolo alle presenti e future generazioni, come uomo che
seppe onorare il suo paese. Io lo ricordo a me stesso, ma in queste
pagine ho voluto ricordarlo anche per tutti a tutti.
Egli viveva a Palermo, ma tutti i sabati tornava al suo paese: in treno
da Palermo giungeva sino alla stazione ferroviaria di Roccapalumba e
poi la corriera lo portava a Lalia. Attraversava le strade che da S.
Rosalia conducevano alla sua abitazione, portando con sé una
borsa,uguale a quella che a quei tempi soleano portare i barbieri con
dentro i loro attrezzi del mestiere, quando andavano a servire i
clienti a domicilio. Lungo il cammino la gente incontrandolo si levava
la "cuòppula", salutando con rispetto il
professore, ed egli rispondeva a tutti,
sempre con lo stesso saluto: «salutamu!».
Veniva in paese perchè era legato ad esso da affetto e perchè vi
vivevano le sue quattro sorelle, tutte zitelle, che trascorrevano la
loro vita nel chiuso della loro bella casa che si trovava proprio di
rimpetto alla
mia dimora.
Era raro vederle, semmai si poteva intravederle quando alla Domenica
uscivano per andare a messa: percorrevano la strada che dalla loro casa
costeggiava il «cozzo»,
sino ai piedi della monumentale Matrice; entravano e uscivano dalla «porta
fausa», quasi inosservate.
Il professore, durante i due giorni che trascorreva in paese, usciva
raramente, solo per andare alla Tabaccheria di Catalano a comprarsi le
sigarette (era un accanito fumatore!); non aveva molti contatti con la
gente, anzi era piuttosto burbero, ma sapeva essere anche spontaneo e
alla mano, come suol dirsi, quando gli si presentava l'occasione. E non
di rado se qualcuno bussava alla sua porta e chiedeva un consulto
medico per i suoi malanni o per quelli di un proprio congiunto, il
professore non si rifiutava. E del suo parere scientifico i medici del
paese, naturalmente, tenevano un gran conto.
Come professore aveva fama di essere severo, sino ad essere perfino
temuto dagli studenti. Ci fu qualche caso di aspirante medico che non
riuscendo a superare l'esame di Anatomia Patologica col professore
Guccione, (un esame, per sè stesso, assai difficile, quanto
fondamentale per
l'apprendimento della scienza medica), preferì cambiare facoltà o,
addirittura, Università , piuttosto che trovarsi a cospetto del severo
docente.
Ma di questa sua severità , di questo suo rigore morale
e culturale si sono avvalsi tanti medici della Sicilia per essere poi
affidabili professionisti.
Una volta azzardai a domandargli perchè fosse così severo coi suoi
studenti, ed egli, dopo avere lungamente aspirato una boccata di fumo
dalla sua immancabile sigaretta Nazionale, mi disse con la sua voce
cavernosa: «perchè io
preparo medici, non macellai. «Il medico» - mi disse -«può
operare con coscienza solo se ha sufficiente scienza. Gli viene
affidata la vita degli uomini». «Ecco» - concluse -
«perchè sono, anzi, dicono che sia rigoroso». Lo rammento con
riverenza e affetto.
Liborio Guccione