"Jachinu l'uorvu"
"Oh, io scrivo, scrivo e la mia
mente galoppa lungo il sentiero di
tanti altri ricordi, mi richiama altre immagini, personaggi, situazioni
che popolarono il mio tempo. Ecco, per esempio, un personaggio che mi
si affaccia alla mente: Jachinu (Gioacchino) «l'uorvu», una figura
mite, silenziosa, che passava per le strade del paese quasi
inosservato. Un uomo alto, robusto, un viso largo che metteva in mostra
i baffoni ben curati, come ben curato era il modo di vestire, e sempre
profumato.
Era cieco, credo dalla nascita:
i suoi occhi, quando li apriva, erano
grossi, di un bianco celeste che fissavano il vuoto come se volessero
uscire dall' orbita, come per liberarsi dalla coltre di buio che li
circondava. Occhi spenti, inespressivi che trasformavano il suo volto
sino a farne una maschera impressionante. Egli girava per le strade
servendosi di un grosso bastone e per maggior sicurezza procedeva
rasentando i muri delle case, toccandoli con una mano la quale in tal
modo faceva da bussola, da strumento di orientamento.
Viveva con una sorella, la «zia
Pidda», una donna mite sempre disposta
a donare un sorriso che io ricordo piuttosto malinconico, ma incline
per la sua benevolenza a farsi amare da tutti. I suoi modi gentili, il
modo di porgere educato, non privo di una certa finezza erano la
testimonianza della sua origine sociale di tutto rispetto; del resto
anche il fratello, nonostante la sua cecità aveva un portamento che,
pur nella sua incertezza, nella sua insicurezza, mostrava un certo
stile che imponeva riguardo.
Sì, quando Jachinu passava per
le strade lasciava una scia di profumo delicato.
Era il profumo
che emanava dalle saponette che teneva nelle tasche della sua giacca.
Perchè Jachinu l'uorvu, con discrezione e solo limitatamente ad alcune
famiglie, soprattutto fra i numerosi parenti, vendeva saponette a
domicilio. Non che lo facesse spinto da un bisogno economico, perchè
egli era, anzi, un benestante, ma quello era il suo hobby, il modo di
sentirsi vivo, partecipe della vita e, forse, anche di sentirsi utile
alla società .
A scadenze fisse egli si
portava, come poteva, al domicilio dei suoi
clienti, metteva una mano in tasca ed estraeva una saponetta che egli
prima di consegnarla, con gesto raffinato, delicato faceva scivolare
lentamente sotto il suo naso, come per assicurarsi che quella fosse la
saponetta adatta per la cliente, o come se con quel suo gesto volesse
garantire la bontà del prodotto.
A scadenza fissata dal suo
programma veniva pure a casa mia: arrivato
alla «cantunera» chiamava e chiamava a voce alta il nome di mia nonna
Emilia, e allora la nonna o qualche altro membro della famiglia
scendeva lungo la strada ripida e quando gli era vicino gli toccava una
mano e lo conduceva dove egli chiedeva di andare.
Ebbi anch'io occasione re da
guida, da accompagnatore a Jachinu l'uorvu
e mi ricordo la sua mano, pulita, liscia, rosea che si toccava con
piacere. Un particolare che denotava la sua particolare sensibilità nel
riconoscere la persona che lo avvicinava, era quello di prenderti la
mano facendola scorrere lentamente, come una carezza sul palmo della
sua, e subito ti diceva chi eri, senza mai sbagliarsi.Sono le risorse
infinite della natura che qualche volta si rivela perfida quando ti
condanna ad una mutilazione che menoma la tua capacità di vivere
normalmente, di essere completo, ma ti offre, di contro, altre risorse
che suppliscono alla mutilazione inflitta.
Io l'accompagnavo a casa mia
dove c'erano la Mamma e mia sorella Mary
ad attenderlo. E sempre col solito rito, prima di consegnare la
saponetta la odorava. Finita la sua missione, salutava e
1'accompagnatore lo riportava nel punto in cui lo aveva prima ricevuto.
da dove egli col bastone in una mano e con l'altra mano che faceva
scorrere lungo i muri esterni delle case, riprendeva il suo cammino,
con una calma e una sicurezza come se egli ci vedesse.
Così scorreva la vita di Jachinu
l'uorvu, con le sole emozioni che gli
derivavano da questo contatto con la gente e la sensazione di sentirsi
utile attraverso il profumo delle sue saponette.
Ma perchè ho richiamato
in vita in queste pagine di ricordi, di rivisitazione del passato,
questi personaggi?
Non
so quale rappresentazione essi avranno nello spirito, nella mente dei
lettori, quali immagini si affacceranno e quale senso avranno per essi
che vivono così diversamente, in un'epoca così sofisticata. A me essi
appaiono tutti, pur nella diversità , nella varietà della loro
rappresentazione in quel contesto di vita, come componenti di una
medesima famiglia; tutti e ciascuno di loro si sommano ad un' epoca,
esprimono i colori di un ambiente, l'articolazione di una società . Per
me è stato come guardare una sequenza di immagini attraverso una
pellicola che mostra il divenire della vita. Essi servono a
identificare una porzione della storia di questo nostro paese. Perchè è
così che si costruisce la storia vera degli uomini, pezzo per pezzo,
immagine per immagine, momenti scarni, inqualificabili apparentemente,
ma eloquenti nel loro significato umano.
L'altra, «la Storia» è fatta
dall'insieme degli uomini, da tutto un
popolo accostato agli avvenimenti che, guarda caso sono rappresentati
da guerre, rivoluzioni, eccidi, dove però non è possibile scorgere la
vera natura dell' animo dell'uomo, subissato com'è da tutto ciò di cui
non ha il controllo, la dimensione vera, autentica della sua
partecipazione. lo ho voluto strappare il velo del passato per mostrare
ciò di cui altrimenti si perderebbe la memoria storica, la sua
incisività nel processo di crescita della nostra società ."
Liborio Guccione
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pubblicato
in "Giorni vissuti come fossero anni"
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