La
Pasqua
"Con la festa della Pasqua
si festeggiava anche la primavera
che al mio paese scoppiava assai presto. E la Pasqua a Lalia si
celebrava con solennità.
Da ragazzo, ricordo però che i giorni
precedenti la festa di Resurrezione, mi intristivano. La Mamma,
durante la settimana santa portava noi bambini a visitare i
"Sepolcri" , facendoci fare il giro di tutte le
tre chiese: Matrice, S. Anna, S. Giuseppe. Le chiese erano semibuie,
appena illuminate dalla luce fioca di qualche candela; e gli altari
mostravano i santi coperti da drappi viola, e così pure i
crocifissi, i quadri: tutto era lugubre, triste. Perfino i colori dei
fiori posti davanti all`altare maggiore, debolmente illuminati dalle
tremule fiammelle delle candele e dei lumini, venivano falsati,
apparivano come appassiti, spenti. E anche i lineamenti della folla
dei fedeli inginocchiati davanti all` altare, nella penombra si
scorgevano affilati, come fossero malati: tutto era funereo. lo non
vedevo l`ora di uscire dalla chiesa per sentirmi liberato da quell`
oppressione che mi durava poi tutto il giorno. Io, dicevo alla Mamma
di quel mio malessere interno, che mi faceva tristezza la chiesa
semibuia, ma lei mi spiegava allora che quel mio stato era la pena
che provavo per la morte di Gesù.
La Settimana Santa mi pareva
lunga, infinita, e attendevo con
trepidazione il giorno della Resurrezione di Gesù per riudire
nuovamente le campane suonare a distesa, allegramente; vedere gli
altari, le statue dei santi senza più drappi e la chiesa tornare
alla luce, col sole che penetrava dall`alto dei vetri colorati;
risentirmi vivo, gioioso e godente di quella primavera; e la gente
tornare a sorridere. Era giorno di festa, di allegrezza per gli
uomini di buona volontà, simboleggiata dalla pecorella, fatta di
pasta di mandorle (o anche di zucchero) e "li pupi cu
l`uovu". La gente si recava a messa portando, avvolti in
candidi tovaglioli, "li pupi cu l`uovu" per farli
benedire dal prete al quale la comunità, attraverso le
confraternite, donava una bella pecorella di pasta di mandorle, con
la bandiera rossa sulla schiena. La pecorella non era alla portata di
tutte le tasche, ma "li pupi cu l`uovu" sì, non
mancavano mai, anche perché, in definitiva, erano fatti di farina
come il pane, solo che gli davano una forma bizzarra, che so io, di
un gallo o di un pupo, appunto, con un uovo al centro che, spesso,
era tinto di rosso o di altro colore; facendo così la gioia dei
bambini che si mostravano fra loro le fantasie delle forme del pupo e
del colore dell`uovo.
Altro dolce tradizionale
della Pasqua era la cassata siciliana; ma
questa compariva, per la verità, sulle tavole di pochissime
famiglie, e don Attilio le faceva proprio su ordinazione.
Ma della
Pasqua ho memoria di due momenti particolarmente toccanti: la
processione e il martorio. La processione si snodava per le vie
principali del paese, seguita da tutto il popolo che salmodiava e
pregava. Ma il momento più emozionante era quello in cui avveniva, a
un certo punto, l`incontro della Madre col figlio Gesù crocifisso:
la Madre intristita dal dolore avvolta nel suo manto nero, il figlio
con le carni straziate. La gente osservava quell` attimo d`incontro,
guardando ora la Madonna ora il Cristo, con una, tensione
particolare, come se si attendesse che la Madonna scendesse di
slancio e corresse ad abbracciare Gesù, a curargli le ferite
sanguinanti.
Il martorio era la
rievocazione storica del martirio di Cristo. La
gente, quando si avvicinava l`ora della recita, partiva dalle proprie
case, recando in mano o sulle spalle una sedia, creando un`atmosfera
inusitata lungo le strade, solitamente solitarie e silenziose. Le
case si svuotavano e tutti, grandi e piccini, si indirizzavano verso
la strada dritta, per giungere davanti alla chiesa di S. Anna dove
era allestito un palco per la recita del martorio. E ciascuno si
affrettava a giungervi presto per occupare i posti più vicini al
palco, onde godersi meglio lo spettacolo e udire, soprattutto, più
chiaramente la voce degli "attori".Gli attori
erano uomini e donne del paese, gente semplice che si prestava a fare
ognuno la sua parte: il Cristo, la Madonna, Giuda... ce la mettevano
tutta per recitare bene. E in qualche misura ci riuscivano
abbastanza, a giudicare di come la gente seguiva con religioso
silenzio le varie fasi della storia che condusse Gesù Cristo sulla
Croce. La gente sottolineava le scene più toccanti, più commoventi
con applausi e anche con abbondanti lagrime. E, addirittura, durante
le fasi in cui la soldataglia romana picchia il Cristo sotto il peso
della croce, si sentiva qualche voce di protesta levarsi dal
pubblico, come se la gente vivesse nella realtà quelle scene
brutali.
Tutto un paese raccolto,
stipato lungo quella strada pendente,
seguiva muto quegli attori improvvisati che facevano rivivere uno dei
momenti più importanti della storia dell`Umanità. Una storia che
ricordava agli uomini, attraverso le sofferenze del Martire del
Golgota,come essi pure dovessero affrontare le sofferenze, le pene
della vita senza mai rinunciare alla loro fede, senza mai rinunciare
alla loro speranza di liberazione, lottando, come Egli aveva lottato,
contro le ingiustizie e i tiranni. Finita la recita, si caricavano le
sedie sulle spalle e tornavano a casa, ancora sotto il peso dell`
angoscia per quello che avevano visto. Man mano, lungo le strade, la
gente si lasciava andare nei commenti sulle varie fasi dello
spettacolo, soffermandosi sui particolari più toccanti, e non
trascurava di esprimere giudizi sugli "attori" e
sulla loro bravura.
Tratto da GIORNI VISSUTI
COME SE FOSSERO ANNI di
Liborio Guccione, giornalista e scrittore
aliese,
che ambienta tale sua opera nel paese natìo degli anni ’30/ ’40.
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