Da tanto tempo nella mia mente c'è il concetto della diversità nelle relazioni umane ed ambientali, quelle vissute nel mio paese natìo, nelle città siciliane dove ho compiuto gli studi, in città francesi e tedesche, in Sardegna e finalmente in terra veneta, a Bassano, in particolare, dove risiedo da più di un quarantennio.
Ho potuto, quindi, raccogliere dati ed analizzare le osservazioni fatte, rilevandone alcune costanti, in positivo e in negativo, come la diversità che è l'elemento necessario per l'equilibrio e l'armonia della società e della natura.
Le dinamiche di relazione umana si basano oggettivamente su di essa. Ma sono le facoltà connaturate nell'individuo o, meglio nella persona, quali l'intelletto, l'affettività, l'empatia a spingere lo spirito di relazione, che tutti ci anima, a vedere, in maniera soggettiva, la diversità come presupposto di dialogo e valore aggiunto ad esso.
Questo cambiamento di prospettiva è frutto di un processo mentale, talvolta spontaneo, anche se non sostenuto da un'adeguata base culturale, ma sicuramente suscitato da una connaturata sensibilità all'alterità e da certi valori che accomunano il genere umano; altre volte, è frutto di sensibilità, ma soprattutto, di cultura e di riflessioni ponderate alla luce di studi filosofici ed umanistici che riducono la diversità umana a fonte inesauribile di ricchezza per la incessante formazione di sé verso traguardi di fratellanza e di pacifica convivenza.
Se il dialogo è uno strumento di questo processo, ne ha da trarre ogni beneficio.
Che cosa ho imparato dalle esperienze fatte, a partire da quella originaria del paese natìo, dove tutto si sapeva di tutti ed ogni minima occasione era buona per scambiarsi un saluto o fare delle chiacchiere.
Ambiente di nativi di antica stirpe, orgogliosi di sé e gelosi degli immigrati da altri paesi viciniori, verso cui nutrivano malcelata intolleranza: i pregiudizi erano il loro biglietto da visita; le diversità di linguaggio e quelle delle loro abitudini marcavano invece la distanza dell'approccio.
Nella realtà dei fatti, tutto ciò, però, si mostrava controvertibile, perchè di fronte a certi valori testimoniati e condivisi in determinati frangenti di vita, le presunte diversità e diseguaglianze sparivano.
La migrazione verso luoghi dove ho compiuto i miei studi medi e superiori ha confermato la stessa dinamica relazionale tra nativi e stranieri: chiusura e diffidenza da una parte e stereotipi ed espressioni offensive, dall'altra: la città di mare contro il paesino di montagna; l'aspetto socio-economico più evoluto contro quello più modesto e campagnolo; oppure altre diversità attinenti all'espressione verbale o ad abitudini alimentari.
Diversità, per l'appunto, che man mano venivano interpretate dall'una e dall'altra parte in senso positivo, perchè bastava poco: talvolta un sorriso, un semplice gesto di benevolenza o di cortesia, per avviare un dialogo e, attraverso di esso, scoprire di vivere la stessa umanità, ricredendosi sulle reciproche false credenze.
In questi ambienti, in età giovanile, ho iniziato a maturare la mia ricchezza interiore, fatta di scoperta attenta e rispettosa del nuovo, del diverso; di acquisizione del meglio che esso potesse offrire; e, in contropartita, della disponibilità a far vedere il meglio di me, educato ancor di più da quella realtà, ma orgoglioso delle radici native.
In età più matura, c'è stato il confronto con altre diversità socio-ambientali: quella tedesca e quella sarda. Entrambe magiche, per l'attrazione che hanno esercitato su di me a condividerle, in prospettiva di permanenza in quei luoghi.
Quanti pregiudizi e quante diffidenze nell'uno e nell'altro territorio, forse giustificati dall'epoca lontana degli anni '60 e '70. Ma poi alcune virtù personali, come l'umiltà e il senso del rispetto, associati ad un'attenta considerazione dello stato di immigrato, mi hanno spinto ad aggiornare le mie conoscenze antropologiche e culturali delle comunità di accoglienza, diventando di giorno in giorno sempre più tedesco e sempre più sardo.
E' stata un'esperienza di breve durata, ma di grande arricchimento linguistico e sociale.
Infine, da immigrato, eccomi a Bassano, agli inizi degli anni 70.
Da subito, una empatìa per la città, per il territorio circostante e per la sua gente.
Nonostante la cortesia e la gentilezza nelle espressioni verbali e nei comportamenti di rito dei nativi, anche qui le stesse diffidenze e chiusure a difesa della propria identità etnica al peri di quelle registrate altrove.
Ricordo che per ovviarvi, i colleghi meridionali si davano appuntamento sotto i portici e lì formavano dei capannelli, tenuti a distanza dai nativi bassanesi.
Atteggiamenti diversi, linguaggi diversi in un contesto diviso tra benevola accoglienza ed occulta intolleranza.
Comunque, le credenziali della docenza professata negli Istituti di Bassano e dintorni hanno mitigato i falsi pregiudizi su quel flusso migratorio, innestando un processo di reciproca conoscenza e di interscambio culturale che ha arricchito i cosiddetti ”terroni” da una parte e i cosiddetti ”polentoni”, dall'altra.
Altri, come me, hanno trovato l'anima gemella bassanese ed hanno formato una famiglia, inserendosi a pieno titolo nella comunità locale e condividendone lo spirito civico, fatto di amore per il suo territorio naturale e suggestivo e per la conoscenza ed esaltazione del suo retaggio culturale, così antico e glorioso.
Un aggiornamento che sta durando già da più di 40 anni e che mi fa sentire, di giorno in giorno, sempre più bassanese.
Alle radici della mia antica terra, che resteranno imperiture nella memoria e nel sentimento di nostalgico attaccamento, si sono aggiunte le radici di questa terra di elezione; non è vero che nella propria vita non si possono avere più radici, se quelle nuove si mettono e si fanno crescere con una prospettiva di integrazione e con sentimenti di avvertita appartenenza.
Ci sarebbero tante storie di immigrati da raccontare sia da parte italiana che straniera, tutte con un denominatore comune di difficoltà a far apparire positivo il carattere della loro diversità; difficoltà ancor più marcata per quella parte di extra-comunitari che, alla deprivazione della loro lingua madre, ufficialmente intesa, e della loro cultura, aggiungono quella italiana.
La diversità delle apparenze, da sola, non aiuta ad instaurare un dialogo, specialmente in presenza di pregiudizi e di paure di contaminazioni sociali e storiche.
La Bassano di esclusiva identità veneta non esiste più ed oggi ci si sorprende a vederla sempre più multietnica e variegata di tratti fisici e di colori inconsueti.
Ma se di disagio si tratta, quello degli immigrati è di gran lunga superiore, perchè il dialogo con la comunità di accoglienza è scarso a causa di un'empatìa ancora da esprimere reciprocamente e di un linguaggio comune da utilizzare come veicolo di comunicazione.
Appare, quindi, evidente che non c'è inserimento e, alla lunga, integrazione, se la politica locale di comune accordo con le associazioni di categoria degli immigrati non investono in piani di aggiornamento culturale e di formazione linguistica soprattutto italiana, ma non disgiunta da quella del territorio di provenienza.