Il 14 febbraio, si festeggia San Valentino, simbolo dell'amore e patrono degli innamorati. L'usanza di scambiarsi messaggi e doni tra innamorati in occasione della festa del Santo, sembra derivi dalla convinzione che gli uccelli cominciano ad accoppiarsi in questo giorno. A Bari c'è un proverbio in dialetto che rispecchia tale credenza. A SSande Valendìne la staggiòne iè vecìne (A San Valentino la primavera è vicina). In quest'articolo viene presentato una pagina popolare di una Bari che non c'è più
a proposito della festa degli innamorati dove era obbligo un rito "La serenata".
Il brioso testo l'ho attinto dal libro: "Nostalgia di Bari", di Alfredo pubblicato nel 1991 da Schena Editore.
Fra i tanti modi romantici per intendersi fra innamorati, oltre al linguaggio dei fiori e degli sguardi c'era quello dell'omaggio musicale che a Bari veniva definito "portare la serenata". Dal numero dei sonatori ingaggiati e della loro bravura si deduceva la personalità dello spandecàte(spasimante), il suo gusto e la considerazione in cui era tenuta la destinataria del galante messaggio.
Certo un concertino operante nelle ore notturne costava parecchio ma l'innamorato non badava a spese pur di toccare il cuore dell'amata.
A tale scopo vi erano buoni complessi dilettantistici formati da violinisti, mandolinisti, chitarristi, fisarmonicisti normalmente impegnati per feste nuziali, per battesimi, per festini vari e, appunto, per serenate. Queste si svolgevano fra le 21 e l'una e duravano un'ora circa e talvolta molto di più, quasi fino all'alba, se lo spasimante era infatuato enormemente.
I pezzi più
eseguiti erano naturalmente di carattere appassionato e sentimentale; fra questi i preferiti "Appassionatamente" di Rulli, alcune romanze di Tosti ed in seguito "Abat
jour", "Balocchi e profumi", senza contare la notissima " Serenata Silvestri" ritenuta da taluni menagramo.
Nonostante simili effusioni disturbassero i coinquilini del caseggiato, l'uso della serenata era così diffuso da indurre chiunque ad avere comprensione, accettandola come un fatto inevitabile di costume.
Tanto molti sarebbero o erano già passati per quella strada. E così,
nell'inanimato e semibuio androne di un portone, fra un miagolìo o il guizzo di un gatto impaurito, languide melodie si diffondevano per giungere alle orecchie della donna agognata.
Dato il carattere intimo della serenata, ben pochi si avvicinavano al gruppo dei sonatori per non rompere l'incantesimo della cerimonia, ma soprattutto per rispettare la riservatezza. Un mancato gradimento di certe effusioni, un atteggiamento refrattario molto significativo della donna potevano condannare al ridicolo l'aspirante amoroso, per cui veniva scoraggiato ogni tentativo di curiosità.
Serio risentimento provocava la ripulsa dell'interessata alle intenzioni galanti del pretendente ed era raccomandata molta cautela per evitare reazioni all'insistenza di uno spasimante e non temeva le conseguenze delle sue "azioni punitive" apriva le finestre e scaricava sul concertino un catino non soltanto di acqua.
Talvolta il fatto prendeva una piega drammatica. Una novantina di anni fa un "malandrino" alquanto mbrunìte (avvinazzato) volle "portare" la serenata alla sua donna in modo volgare, come gli suggeriva la mente alterata dall'alcool. Da Via Nicolai con angolo Via Manzoni si avviò decisamente verso la Candìne de Ciànna Ciànne (Cantina di Gianna Gianna), dove sostavano frequentemente pianini a cilindro, e con serie minacce costrinse il conduttore di uno di questi strumenti su due ruote a portarsi sul posto dal quale si era mosso, costringendo il malcapitato a suonare fino a sera inoltrata.
Ormai stufo di tante prepotenze che andavano sempre peggiorando, il proprietario
del pianino fermò lo strumento e affrontò il duello rusticano che mandò l'incauto "guappo" a…Don Achìlle (Don
Achille = Camposanto) e il poveretto nelle braccia del ferreo delegato di Pubblica Sicurezza Donvito.
Gigi De Santis
Centro Studi "Don Dialetto" - Bari
Tratto da www.modugno.it
"La Voce" di Alia.
"Affacciati alla finestra bedda mia"…
Così cantava lo spasimante alla sua bella tanto tempo fa, quando non
poteva far altro che cantarle la serenata.
Ma, in dettaglio, che cosa era la serenata?
Un giovane pretendente, per trasmettere tutto il suo amore alla sua ragazza,
invitava alcune persone, dedite all'organizzazione di queste serate, che, armate
di chitarra, mandolino e fisarmonica, si recavano sotto il balcone dell'innamorata
e lì iniziavano a suonare e, a volte, anche ad intonare alcune canzoni
che esprimevano sentimento, ardore e amore.
Molto spesso erano i giovani stessi, quelli più coraggiosi, a cantare
ed a "portare" la serenata.
Quasi sempre, queste serenate erano gradite ed andavano a buon fine.
(Cupido aveva centrato il bersaglio!) Ma a volte, a causa di rancori o per gelosia
da parte di familiari o di altri pretendenti, la serenata "andava a farsi
benedire". Si arrivava, addirittura, anche a menarsi.
Esisteva anche un altro tipo di serenata, che si era soliti portare alla futura
sposa, proprio alla vigilia delle nozze.
Amici e parenti si riunivano davanti la casa della sposa e qui,
suonatori e cantante si esibivano in canzoni "di fuoco". La cosa si
prolungava fino a tarda notte, specialmente se il tutto si svolgeva nella stagione
estiva.
A conclusione, ai presenti venivano offerti dolci di casa, tra i quali,"scattate"
e amaretti. Non potevano mancare le pastine a forma di cuore spolverate di zucchero,
il tutto "innaffiato" con una bottiglia di "rasoliu".
Ancora oggi, qualcuno, capriccioso, fa portare la serenata alla propria amata
la sera che precede il matrimonio, certamente in maniera diversa di come si
faceva una volta. Però per l'uso di apparecchiature amplificanti ed elettroniche
(microfoni e casse acustiche) non è più possibile apprezzare il
suono melodico e genuino degli strumenti che accompagnavano una volta la stupenda
voce del cantante, capace di riuscire a commuovere i presenti e in maniera particolare
i familiari della futura sposa.
Una persona da non dimenticare, sia per il modo di cantare le serenate, sia
per la bella voce, è lo scomparso signor Vincenzo Collura, conosciuto
da tutti, anche nei dintorni.
Questi, quando veniva contattato, si mostrava sempre disponibilissimo e, attrezzandosi
di chitarra, con la sua viva voce, andava ad allietare la serata.
La serenata era un mezzo di comunicazione assai valido ed anche proficuo. Molti
sono stati i cantanti e gli autori che hanno composto belle serenate.
Voglio ricordare alcuni titoli: serenata a Margellina, serenata sciuè
sciuè, serenata a na' cumpagna 'e scola, serenata sincera , serenata
delle serenate, serenata sotto la luna, piccolissima serenata,serenata napulitana,
serenata a Surriento e tante altre.
Alle soglie del terzo millennio, i giovani che sentono parlare di queste cose,
rimangono sbalorditi. Oggi con la propria ragazza si parla con facilità:
c'è il telefono, per non parlare del telefonino, ormai in possesso di
tutti. E, poi, ci s'incontra facilmente e non è più necessario,
per far conoscere i propri sentimenti, ricorrere alla tradizionale serenata.
Rino Concialdi
Gruppo musicale aliese - anni '70
Ecco, per esempio, il testo di una serenata tipica catanese:
'NFACCIA FORA
(di P. Mendolìa)
Cu sta chitarra e stu marranzano sta sirinata ti sunamu
cu sta chitarra e stu marranzano sta sirinata ti cantamu;
o bidduzza di lu me cori japri a finestra e 'nfaccia fora
ca si tu non voi 'nfacciari tutt'a notti aju a sunari;
o bidduzza di lu me cori japri a finestra e 'nfaccia fora
ca si tu non voi 'nfacciari tutt'a notti aju a cantari.
E di fari cchiù rumuru nni ffittammu nu tammuru
fisarmonica e chitarruni tutti sutta a lu to' baccuni;
o bidduzza di lu me cori japri a finestra e 'nfaccia fora
ca si tu non voi 'nfacciari tutt'a notti aju a sunari;
O bidduzza di lu me cori japri a finestra e 'nfaccia fora
ca si tu non voi 'nfacciari tutt'a notti aju a cantari;
aju a sunari aju a cantari...
E la luna è nu mandulinu e ogni stidda è nu luminu
e jo sugnu ammenzu o mari bedda mia t'aiu a baciari;
e la luna è nu lampiuni ddunma supra a lu to' baccuni
e jo mi staiu pi nniari bedda mia t'aiu tuccari;
t 'aiu baciari..t'aiu a tuccari.. t'aju a baciari
Catarinedda…nesci fora…
Traduzione di " 'NFACCIA FORA "
AFFACCIATI
con questa chitarra e questo marranzano questa serenata ti suoniamo
con questa chitarra e questo marranzano questa serenata ti cantiamo;
oh bella del mio cuore apri la finestra ed affacciati
chè se non ti vuoi affacciare tutta notte dovrò suonare;
oh bella del mio cuore apri la finestra ed affacciati
chè se non ti vuoi affacciare tutta notte dovrò cantare;
e per fare più rumore abbiamo preso in affitto un tamburo
fisarmonica e chitarruni tutti sotto al tuo balcone;
oh bella del mio cuore apri la finestra ed affacciati
chè se non ti vuoi affacciare tutta notte dovrò suonare;
oh bella del mio cuore apri la finestra ed affacciati
chè se non ti vuoi affacciare tutta notte dovrò cantare;
dovrò suonare…….. cantare….
la luna sembra un mandolino ed ogni stella è un lumicino
ed io sono in mezzo al mare bella mia ti devo baciare;
e la luna è un lampione splende sopra il tuo balcone
ed io sto per annegare bella mia ti devo toccare;
ti devo baciare… toccare…. baciare
Caterina… affacciati…
Mastru Saru intona una melodia
"Mastru Saru"
Che serenate indimenticabili. Quanta gente ad ascoltare, ad applaudire
la tua voce inconfondibile piena di risorse, di calore e di varie sensazioni
!
La "tua band" sempre pronta ad accompagnarti su e giù
per le vie del paese.
"Che facciamo stasera, ragazzi, dove andiamo? Ma dai..! andiamo ad ascoltare
"Mastru Saru", si proprio lui. Stasera canta, canta "a lu rabbatieddu",
andiamo..dai !"
E giunti li, sul posto, ecco radunata tanta gente per ascoltarlo; sedie poste
anche sui marciapiedi, tavole imbandite. Si offriva di tutto. Era una serata
organizzata in vista di un matrimonio che ci sarebbe stato l'indomani. E per
questo motivo la serenata di "Mastru Saru" si poneva come un augurio
per i novelli sposi.
Tutti gli Aliesi lo ricordano con simpatia. Che bei tempi!!!
Tempi, diciamolo pure, anche un po' spassosi. Dopo tutto, erano soltanto serate
di festa, serate di musica e di canti.
A te caro "Mastru Saru", se da lassù ci stai osservando, giunga
il nostro caro ricordo, il ricordo dei tuoi amici Aliesi che con le note della
tua musica animeranno ancora le loro serate.
Giacomo Cannici
Concertino per chitarre, mandolini e bengio, nel salone Talamo
Era consetuedine, fino agli anni '70, adibire qualche ambiente
di lavoro, come quello del barbiere, a ritrovo di appassionati di musica. Così,
talvolta, a conclusione del lavoro giornaliero, essi lì si riunivano
per esercitarsi o per dar vita a un concertino vero e proprio.
Non c'era pubblico, tranne qualche curioso od appassionato, data la ristrettezza
del locale; per gli artisti musici, però, era una grande festa di amicizia
e di soddisfazione tecnica musicale.