Fonti documentali: Periodico "La VOCE" di Alia; Rubrìca "Sportello delle Civiltà" del Sito Web It Alia www.assarca.com
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A l'ammucciareddi
Oggi spesso si sente dire ai bambini più piccoli - anche la
sottoscritta lo faceva a suo tempo - "giochiamo a nascondino?"
L'espressione, tradotta nel linguaggio dialettale ancora in uso,
soprattutto nei paesi di provincia, diventa: " jucamu a l'
ammucciareddi?"
Credo che questa rappresenti per ogni fanciullo, a prescindere
dai tempi e dai luoghi, la prima "tappa", il primo incontro con il
gioco e il "gruppo" sia per la sua semplicità di attuazione, in quanto
non occorrono strumenti o attrezzi di contorno, sia perchè esprime e
manifesta, anche se in piccolo, il senso della competitività e della
concorrenza che già da piccoli si prova nei confronti del prossimo,
soprattutto quando si tratta di un coetaneo.
Insomma, tutti almeno una volta abbiamo giocato a "nasconderci",
provando un certo piacere nel "non farci" scoprire dagli altri, come a
voler celare il nostro piccolo angolo di ritrovo, quell' angolo che in
quel momento era il "nostro" rifugio e di nessun altro. Nella memoria
collettiva, quindi, è difficile stabilire o trovare con esattezza il
tempo d'origine, ma tutti lo ricordano come un gioco "antichissimo" e
senza età , caratteristica questa, comune a tutti quei passatempi
cosiddetti "poveri" conosciuti dagli uomini.
Tuttavia, per ragioni di collocamento temporale, possiamo
certamente dire che era gà molto diffuso ad Alia sin dagli anni
trenta. "l'ammucciareddi" era, naturalmente, un gioco di gruppo e si
faceva con un minimo di tre partecipanti:
Momento iniziale e "democratico" era una "conta" dalla quale
risultava a sorte chi doveva essere "u 'sutta". " U 'sutta", secondo il
linguaggio figurato ma molto incisivo, era colui che doveva "
ritrovare" gli altri, cioè quelli "n 'capu". Pertanto, appoggiando la
fronte al muro e coprendosi gli occhi con le mani, cominciava a contare
il tempo necessario per permettere agli altri giocatori di nascondersi.
Luogo di tali rifugi non potevano che essere le strade, i vicoli,
le "cantunere" più piccole e introvabili delle strade aliesi e proprio
la scelta del nascondiglio, a mio giudizio, riempiva di un senso di
avventura particolare. Finita la conta, il gioco non poteva procedere
senza la domanda fatidica "du 'sutta": " a'ura è?" Quello era
il segno del via e la ricerca cominciava.
"Ti vitti, sutta sì" : in genere era questa l'espressione comune
del gioco che stava ad indicare il primo avvistamento, il primo
ritrovamento. E nel momento stesso in cui il giocatore nascosto era
scoperto per primo, doveva automaticamente fare la conta al successivo
giro: era quindi, "u 'sutta" di turno.
Se però quest'ultimo arrivava a battere la mano al muro prima del
suo avvistatore, "liberava" tutti gli altri compagni e ciascuno
manteneva i ruoli iniziali: tutti potevano tornare a nascondersi e "u
'sutta" rimaneva al muro a contare.
Si continuava così, senza particolari vincite o premi, solo per
il piacere di nascondersi e ritrovarsi a vicenda e, ogni tanto,
ricordano alcuni "vecchi giocatori" si incitava alla ricerca
intercalando un allegro motivetto: "iamu, iamu, iamu, quattru e cincu
ca l'asciamu".
Nonostante col tempo inevitabilmente si perdano certi usi e
costumi dialettali, resta il fatto che ancora oggi molti ragazzi, e no
solo loro, sentano spesso il bisogno di attuare quei giochi più
semplici nei quali possono decidere con il proprio cervello e muoversi
davvero con il loro corpo.
E non è un caso che ciò si avverta maggiormente nell' era di
internet e della realtà virtuale.
Georgia Bova
pubblicato nel Periodico
"La VOCE" di Alia, nr.1/96, pag.3
Arco & sciunna
Chi di voi non ha mai provato, soprattutto negli anni della
fanciullezza, a scagliare un sassolino per mezzo di un semplice
elastico?
Si tratta di un costume appartenuto all'uomo sin dai tempi antichissimi
tanto da essere considerato l' arma da tiro più primitiva e remota:
abilissimi nell'usarla, infatti, furono gli antichi . romani, riuscendo
a vantare dei veri frombolieri professionisti..
Non ci sembrerà strano, pertanto, ritrovare questa disciplina
anche tra le "attività " dei ragazzi aliesi, soprattutto in un'epoca in
cui il gioco spesso si intrecciava con le "esigenze contingenti" e
dietro al passatempo più banale si nascondeva il bisogno l'ambizione di portare a casa qualcosa... Ma andiamo per ordine.
Ci troviamo agli inizi del secolo quando, ad Alia e dintorni, i
ragazzi andavano per campagne alla ricerca di tutto l'occorrente per
costruire dei veri e propri "archi", da cui scoccare appuntite e
pericolose "frecce". L'arco, o presunto tale, era costituito
preferibilmente da un sottile legno o ramo verde, piuttosto pieghevole
e duttile, al quale si doveva legare, da un'estremità all'altra, un
filo molto sottile, adatto a tenderlo. La freccia, invece, strano a
dirsi, era ricavata dalle stecche dei parapioggia vecchi o
inutilizzati, quelle stesse affilate a coda di rondine che alcune
massaie usavano come "busi" per fare la pasta di casa, cioè i
"cavateddi".
Effettivamente, dobbiamo riconoscerlo, questi aggeggi si
prestavano a fungere da freccia proprio per la loro puntigliosità ,
caratteristica che rendeva il gioco un pò pericoloso e richiedeva,
pertanto, una particolare attenzione da parte dei maschietti che
volevano emulare Robin Hood...
L'aspetto più inquietante stava nel fatto che spesso, a fare da
cavia per questi "tiratori scelti", non erano soltanto le porte vecchie
delle case, ma anche qualche malcapitata gallina che finiva
direttamente in pentola..Tuttavia i tempi e le esigenze di allora, come
dicevo all'inizio, portavano necessariamente a queste conclusioni: non
era solo una questione di gioco!
La seconda arma da tiro, molto più comune e diffusa di quella
fino ad ora descritta, era costituita dalla "fionda", chiamata nel
gergo aliese "la sciunna".
Per costruirla occorreva, innanzitutto, un rametto a forcella,
dalla tipica forma a V, poi si andava alla ricerca di un elastico che,
allora, si ricavava tagliando la gomma di una buona camera d'aria.
Quindi, questa striscia di gomma elastica si applicava ai due capi del
rametto biforcuto, mentre gli altri due capi andavano a convergere su
un rettangolino di pelle: qui venivano cuciti e fissati in modo da
tenderli al momento del tiro. Proprio da questo lembo di pelle partiva
il "proiettile" - in genere un piccolo sasso rotondo - che, per effetto della forza centrifuga, veniva scagliato anche a grande distanza.
A detta degli interessati, "la sciunna" era proprio un'arma
specifica per colpire gli uccelli, ragion per cui non era un semplice
divertimento da bambini, ma anche un' attività dei più anziani
contadini che miravano alla gustosa preda.
E come in ogni campo agonistico che si rispetti, anche in questo
non mancavano i professionisti del settore che si pavoneggiavano quando riuscivano a colpire nel segno, sebbene la gallina, ne siamo certi, non fosse dello stesso avviso!
Georgia Bova
pubblicato nel Periodico
"La VOCE" di Alia, nr.1/97, pag.1
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